Italian Perspectives                                    
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

La Turchia, ancora un po’ di strada da fare   (Ragion Politica, 24 dicembre 2004)

La settimana scorsa il parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale invitava il Consiglio “ad aprire senza indebiti ritardi” i negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europa.  Il Consiglio ha secondato la richiesta del parlamento e i negoziati inizieranno il 3 ottobre del 2005.

Faccio la premessa che la Turchia ha un posto particolare nel mio cuore, anche se non ci sono mai stata. Debuttai come columnist nei giornali degli Stati Uniti nel 1995 con una rubrica chiamata “Overseas Perspectives” ed un articolo intitolato: "L’Occidente dovrebbe occuparsi dei problemi della Turchia."

Ero rimasta negli Stati Uniti per alcuni mesi, non era ancora molto diffuso l'Internet ed i giornali locali trattavano poco gli argomenti di rilevanza mondiale. Quindi per seguire le notizie internazionali, compravo i giornali tedeschi. La zona della Florida dove mi trovavo era molto ambita dai tedeschi in quel periodo, quando lo scambio fra il marco e il dollaro era a loro favore.

Su “Die Zeit” lessi di un attacco terroristico fatto da fondamentalisti islamici, presso un "teahouse" frequentato dagli Alawiti, il gruppo islamico più moderato della Turchia, difensori del principio dello stato laico come concepito da Kemal Ataturk. Seguii tutti i giorni gli sviluppi dell'attentato, aspettando di sentire qualcosa sui network news o sulla CNN. Invece niente. Nei giornali locali neppure.

Curiosa e incredula, mi recai alla biblioteca pubblica più vicina e cominciai a sfogliare tutti i giornali più importanti degli Stati Uniti: the New York Times, the Washington Post, the Los Angeles Times, the Chicago Tribune, the Boston Globe ecc., per l’intera settimana. Neanche l'ombra della notizia.

Indignata scrissi il pezzo in cui esordì come columnist, raccontando l'evento, che non era tanto rilevante in sé, ma ciò che per me era significativo, era che nessun giornale americano lo degnava di menzione. Ricordai la posizione geopolitica della Turchia come porta d'ingresso fra l'Europa e l'Asia, fra il mondo cristiano e quello islamico. Rammentai il suo ruolo nella NATO e criticai i media statunitensi per il loro silenzio:  “Non si può parlare della Turchia solo quando servono le basi per bombardare Saddam Hussein”. Ma allora avevamo già concluso da un pezzo la Guerra del Golfo e nessuno sognava che avremmo dovuto affrontare l'incubo di un’altra.

Così tre anni fa, approfittai della "gaffe" di Berlusconi riguardo alla superiorità della civiltà occidentale per informare gli studenti del liceo dove insegno di quale stoffa fosse fatta questa superiorità.  Cose come lo stato di diritto, lo stato laico, e tutti gli altri diritti e libertà di cui l'Occidente è talmente pieno che se ne dimentica di andarne fiero.  Parlai anche della Turchia, come esempio più unico che raro di uno stato islamico democratico. Uno stato che difende la sua democrazia e la sua laicità, non solo coi denti e con le parole, ma coll’esercito, se è necessario.  Ed è stato più volte necessario.

A quel punto della mia lezione, un mio studente che proveniva dalla Turchia, ma di origine armena, chiese di intervenire. Gli diedi la parola e ci raccontò un episodio che riguardava il periodo in seguito al devastante terremoto che aveva colpito il nordovest della Turchia nell'agosto del 1999 e che costò la vita a più di 20.000 persone. Secondo lui, il Ministro della Sanità, Osman Durmus, aveva rifiutato il sangue di donatori stranieri, dichiarando che non voleva inquinare il sangue dei feriti col sangue di infedeli. Dissi alla mia classe che era una notizia che mi era sfuggita e che, se era vero, egli aveva ragione di contestare le mie lodi per la Turchia.

Quel pomeriggio tornai a casa e feci una ricerca su Lexis-Nexis. Non solo trovai l'episodio del sangue rifiutato, ma scoprii di peggio. Tre anni fa, lo stesso Durmus introdusse una legge per imporre la verginità alle ragazze che vogliono frequentare le scuole superiori statali per diventare infermiere o ostetriche, obbligandole a subire un esame ginecologico, appunto per comprovare la loro “purezza”. La legge raccapricciante provocò non pochi suicidi fra le ragazze che subirono l'intrusione del loro corpo oltre della loro privacy.

Come se non bastasse, credo che ricordiamo tutti l’episodio che fece scalpore quest’estate, quando, al mare ad Izmir, per via delle leggi islamiche che non permettono le donne di portare un costume da bagno, alcune ragazze fecero il bagno vestite da capo a piedi.  Appesantite dai vestiti bagnati, le ragazze, poi, non riuscirono a rimanere a galla.  Sempre per via delle leggi islamiche che non permettono ai maschi di toccare le femmine, il loro “imam” impedì alle ragazze di essere soccorse dai ragazzi, perché “al solo toccarle avrebbero commesso un atto impuro” e quindi furono lasciate morire annegate!

Non c'è dubbio che la Turchia è mille passi davanti ad altri Paesi islamici in termini di democrazia e leggi di mercato, e che l'Europa e tutto il mondo occidentale deve fare il suo meglio per aiutarla a procedere in questa direzione. Ma perché ci assomigli per quanto riguarda i diritti umani, non basta che abolisca la pena di morte o la legge sull’adulterio.  Ha ancora un bel po’ di strada da fare.


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