I sepolcri imbiancati (Ragion Politica, 7 gennaio
2005)
Gli esponenti della sinistra hanno espresso la loro solidarietà
al presidente del consiglio dopo che è stato vilmente ferito in Piazza
Navona la sera di San Silvestro da uno che dice di aver agito per “odio”.
Dopo aver seminato proprio quell’odio, proprio su quel terreno per più
di dieci anni, i sepolcri imbiancati si sorprendono dell’uva marcia della
loro vendemmia. E se a Berlusconi fosse successo qualcosa di veramente
grave, pretenderebbero anche di farci bere le loro lacrime di coccodrillo.
La quantità d’imbiancatura dei nostri sepolcri sfiora l’inverosimile.
Appena pronunciata la loro falsa pena per l’accaduto, hanno cambiato canto,
lodando il discorso di fine anno di Ciampi e denigrando quello di Berlusconi:
un replay dei pregi e dispregi dell’anno scorso.
Al politically correttissimo e preconfezionato discorso di Ciampi,
la sinistra ha risposto con pari melensaggini, cinguettando commenti carini
e di circostanza. Di Berlusconi, invece, si sono lamentati che nel suo “discorso”
parlava troppo di sé, dimenticando che il suo non era un discorso,
ma una conferenza stampa e come tale il suo contenuto è stato dettato
dalle domande che gli sono state poste. Dovrebbero rivolgere le loro
lamentele, semmai, ai giornalisti, se le domande erano troppo personalizzate.
Francamente, ogni volta che sento parlare Berlusconi, non solo
non riesco a capire come facciano ad odiarlo, non capisco come facciano a
non amarlo. Quale altro politico è capace ad improvvisare con
tanta spontaneità risposte serie a domande serie e con una tale raffica
di dati dettagliatissimi alla mano? Quale altro politico riesce a trasformare
una domanda maligna in una rivincita di bonarietà ed autoironia?
Ma, confesso di avere un pregiudizio in positivo già di
vecchia data. Anzi, in privato, fra amici, mi diverto, vantandomi,
di essere la segreta ninfa Egeria di Berlusconi, ossia la segreta ispiratrice
della sua discesa in politica. Così segreta che neanche lui
lo sa.
Conobbi Silvio Berlusconi durante gli anni ottanta quando facevamo
mestieri diversi di quelli attuali. Si potrebbe dire che eravamo “colleghi”
nel senso che lavoravamo entrambi nel campo pubblicitario, prima di lasciare
il settore privato per quello pubblico. Lui, donchisciottescamente,
per salvare l’Italia dalle tenaglie dei non proprio così tanto “post”
comunisti, io per combattere analoghi mulini a vento nella scuola pubblica.
La prima volta che lo vidi di persona fu quando venne a Torino
per presentare il palinsesto delle sue reti al Castello di Rivoli.
Mi ricordo di avere incrociato lo sguardo di uno dei miei soci più
volte durante il suo discorso. E quando finì di parlare gli
dissi: “Peccato che i nostri politici non apprendano da lui di esprimersi
con questa straordinaria chiarezza.” E lui mi rispose: “Mi hai tolto
le parole dalla bocca”.
La seconda volta che lo vidi fu al Castello di Stupinigi, sempre
per la presentazione dei palinsesti. Questa volta non era solo il suo
modo di parlare che mi aveva impressionato, ma anche il contenuto.
Fece un discorso in cui elencava i problemi della burocrazia barocca dell’Italia
che lega le mani e piedi all’imprenditoria italiana e proponeva delle soluzioni
rapide e radicali. Dopo il suo discorso, altroché suggerire
che i politici prendessero esempio da lui, dissi al mio socio: “Magari si
candidasse lui! Se riuscisse a mandare avanti l’Italia come fa con
le sue imprese, l’Italia sarebbe la prima economia mondiale!”
Ma forse capisco le ragioni del loro odio. Innanzitutto,
lui ha rotto il loro giocattolo: “la gioiosa macchina da guerra” occhettiana
che era sull’orlo di raggiungere l’irraggiungibile dopo la strage a senso
unico di Tangentopoli.
Poi ci sarebbe un motivo psicologico: il loro inguaribile complesso
d’inferiorità che cercano di camuffare attraverso il loro mantra tanto
megalomane quanto menzognero, sempre pronunciato con aria spocchiosa e con
un sopraciglio arcuato: “Tutte le persone intelligenti sono di sinistra,
tutte le persone di sinistra sono intelligenti.”
Ma c’è anche un’altra ragione più insidiosa che
si chiama semplicemente invidia. Sanno di aver sempre campato sulle
nostre spalle con le nostre tasse. Sanno di non aver mai creato nulla.
Il loro scopo è sempre stato esclusivamente l’espansione del proprio
potere, non per mezzo del merito o di programmi propositivi, ma attraverso
i veri cancri della società italiana: la partitocrazia e il clientelismo.
Come fanno a sopportare la loro piccolezza ogni volta che devono misurarsi
con uno che ha creato un impero dal nulla, regalando benessere non solo a
se stesso ma a decine di migliaia di collaboratori. Insomma, ogni volta
che si specchiano vedono un parassita e un self-made man che gli fa ombra.
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