A proposito di Presidential Pardons (Ragion Politica,
7 maggio 2004)
Da mesi oramai si parla dell’istituzione della grazia. Fiumi di
inchiostro e pagine di giornali con opinionisti, giuristi e costituzionalisti
che dicono tutto e il contrario di tutto. Se sia o non sia esclusiva
prerogativa del Presidente della Repubblica il dare o non dare la grazia.
Se sia o non sia necessaria la richiesta dell’eventuale graziato. Se
sia o non sia indispensabile la richiesta del Ministro della Giustizia o
la sua firma una volta concessa la grazia. Già solo la confusione
che regna intorno alle contraddizioni fra un articolo ed un altro della Costituzione
o sul prevalere della lettera della legge o della consuetudine la dice lunga
sulla necessità di riforme strutturali e di una globale riscrittura
della Costituzione, auspicio espresso ben dieci anni fa dal popolo italiano
in un referendum. I Radicali e Marco Pannella sono stati i capifila
di questa causa, ma sono anche loro che sbandierano lo slogan a forma di
striscione di un’altra campagna per “Le riforme all’ americana delle istituzioni,
dell’economia e della giustizia.”
Allora vogliamo parlare della grazia all’americana? Negli
Stati Uniti il potere della grazia è previsto dalla Seconda Sezione
del Secondo Articolo della Costituzione: Il Presidente ha il potere
di concedere commutazioni e grazie per crimini contro gli Stati Uniti, tranne
in casi di impeachment. Punto e basta. Non sono scritti nella
costituzione né il metodo di applicazione né altro. Non
c’è un altro articolo che lo contraddice come succede nella Costituzione
italiana fra l’Articolo 87, che dà il potere di concedere la grazia
al Presidente, e l’articolo 89, che pretenderebbe che nessun atto del Presidente
sia valido se non controfirmato dal ministro proponente.
Per dire la verità, la Costituzione Italiana come anche
i codici penali e civili sono ricchi di contraddizioni che permettono agli
avvocati, ai pubblici ministeri, ai giudici, ai commercialisti (per quanto
riguarda le leggi fiscali) e ai cittadini di interpretare le leggi ognuno
a modo suo. Ma rimaniamo in tema di grazia.
Il fatto che nella Costituzione americana non ci sia scritto niente
di più, non vuole dire, però, che la procedura sia lasciata
all’azzardo. La procedura è scritta in modo molto chiaro nel
Codice di Regole Federali (Title 28 del U.S. Code of Federal Regulations,
Sections 1.1 – 1.10). Nel Ministero della Giustizia c’è un sottoministro
che si occupa solo delle grazie che si chiama U.S. Pardon Attorney.
Il suo lavoro è di ricevere le richieste di grazia e “assistere” il
presidente, esaminando scrupolosamente ogni petizione. Per ogni richiesta
il Pardon Attorney prepara, in nome del Dipartimento della Giustizia, le
sue raccomandazioni al Presidente di concedere o negare la grazia.
Queste raccomandazioni sono esattamente tali, niente di più, niente
di meno. Il Presidente non è vincolato a seguirle. Il
Presidente può ricevere un consiglio di concederla e assecondarla
o negarla. Può ricevere il consiglio di negazione e rispettare
il consiglio o decidere comunque di dare la clemenza. E’ sempre il
Presidente che tiene il potere ultimo della decisione come è scritto
nella Costituzione. Tutto chiarissimo. Le regole e le procedure
ci sono e si seguono.
Tutto ciò non vuole dire che la questione della grazia
non sia stata spesso fonte di polemiche anche negli Stati Uniti. Basta
pensare a quella concessa da Gerald Ford a Richard Nixon, che molto probabilmente
gli costò le elezioni del 1976 e che fece vincere Jimmy Carter.
O a Carter stesso che si attirò la collera di tanti veterani quando
offrì l’amnistia incondizionata a circa 10.000 uomini che scapparono
dagli Stati Uniti per evitare il servizio militare durante la guerra del
Vietnam. O a quella di George Bush padre al Ministro della Difesa
Caspar Weinberger per il suo coinvolgimento nello scandalo Iran-Contra.
O a quella concessa da Bill Clinton a Marc Rich che era stato accusato di
frode.
C’è, però, una piccola importantissima differenza.
Negli Stati Uniti il Presidente è eletto dal popolo, il che già
in sé dà più peso a questa sua prerogativa. Poi,
se prende una decisione non apprezzata dal popolo, il prezzo politico sarà
poi lui a pagarlo.
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