Se Kerry esporta il vizio del flip-flop (Il Giornale, 24 settembre 2004)
C’è una nuova parola inglese sulla bocca di tutti e nelle
pagine dei giornali italiani. Tant’è divertente la sua onomatopeia
quanto triste il riferimento all’indecisione pendolare in ambiente politico.
Flip-flop è l’espressione che si sta usando per descrivere i rovesciamenti
di posizione del candidato democratico John F. Kerry. Se ne parla e
se ne scrive come se fosse un vizio limitato a lui o alla politica americana.
Ma gli americani mica hanno il monopolio solo perché hanno una parola
così colorita per dare un nome al fenomeno.
In materia di flip-floppaggine, l’Italia non ha niente da invidiare
a nessuno. Flip-flop è il termine giusto per descrivere la “voltagabbanaggine”
con la quale i politici cambiano partito. Incarna il camaleontismo
con cui mutano i nomi dei partiti mantenendo però la stessa ideologia
e gli stessi vizi. Raffigura il modo in cui molti politici dichiarano
una cosa oggi ed un’altra domani, sperando che i cittadini siano troppo impegnati
nel loro quotidiano per accorgersene.
Gli esempi di flip-flopezza di Kerry riguardano il suo comportamento
in parlamento, ossia come lui votò in diverse occasioni nel Senato.
Il più famoso è quando votò per la guerra in Iraq, per
poi votare invece contro l’approvazione di fondi per mantenere le truppe.
Ma il fatto che si sappia, e che se ne parli la dice lunga sulla trasparenza
degli organi legislativi degli Stati Uniti.
Già, perché su Capitol Hill, nella House of Representatives
e nel Senato, si fa uso del voto palese, solo ed esclusivamente. Non
potrebb’essere diversamente. Gli americani non accetterebbero il voto
segreto. Ritengono di avere il sacrosanto diritto di sapere come votano
i loro rappresentanti, se stanno mantenendo le loro promesse, se, appunto,
votano secondo la piattaforma che presentarono durante le loro campagne elettorali.
In Italia, non è così. Anche se i nuovi regolamenti
parlamentari stabiliscono la prevalenza del voto palese su quello segreto,
quello segreto viene tuttora mantenuto per le votazioni riguardanti i singoli
parlamentari, le modifiche al regolamento, le votazioni in materia di diritto
di famiglia, le votazioni sui principi e diritti di libertà, l’approvazione
di leggi ordinarie relative ad organi costituzionali, l’approvazione di leggi
elettorali e l’istituzione di commissioni d’inchiesta. Quindi su tutti
questi temi, l’occasione di fare flip-flop da parte dei deputati, c’è,
eccome, con l’aggravante che noi non siamo in grado di saperlo!
Il dibattito sull’opportunità di adottare il voto segreto
oppure quello palese rimane acceso. C’è chi lo vede con
un occhio “americano” e trova che il corpo elettorale deve sempre sapere
come si comportano i suoi rappresentanti senza eccezioni. Purtroppo,
però, chi difende il voto segreto in Italia, lo fa anche per dei buoni
e validissimi motivi: permette al parlamentare di essere libero di
votare secondo la sua coscienza, senza essere condizionato dalle disposizioni
del suo partito.
Il problema è sempre lo stesso: Nonostante l’implementazione
della legge maggioritaria per i tre quarti delle due camere, i deputati e
i senatori sentono un più forte legame col proprio partito che coi
cittadini che dovrebbero rappresentare. Finché i rappresentanti
non saranno persone mandate a Roma ad occuparsi dei problemi locali, ma persone
scelte dai partiti e poi mandate sul territorio, chi sa quanto flip-flopping
clandestino si continuerà a fare sui banchi di Montecitorio e a Palazzo
Madama?
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