Italian Perspectives                                     
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Tra l’incudine Prodi e il martello Pannella, Ragion Politica, 22 aprile 2005

Mi fa tenerezza Paolo Guzzanti che cerca di spiegare a sua moglie americana le dinamiche della crisi di governo.  Ha ragione, sono intraducibili nell’inglese di un americano, dove c’è una divisione netta fra il potere esecutivo e quello legislativo. Concetti come: caduta di governo, elezioni anticipate, fare un rimpasto, governo balneare, governo traghetto, governo bis, scontri sotterranei, sedute segrete, salire al Colle.  Mi fa ricordare i miei primi tentativi di decifrare le verità nascoste e contraddittorie della politica italiana.

Vivevo in Italia solo da pochi mesi e nonostante il fatto che il mio “conversational” italiano fosse già adeguato per cavarmela in tutte le occasioni, facevo molto fatica a capire le sfumature delle beghe politiche che seguivo sul telegiornale. Abitavo con una famiglia nobile di Bologna e così una sera chiesi loro di aiutarmi a capire qualcosa che avevo sentito sul telegiornale e che ero sicura di aver malinteso.  Il governo era in mezzo ad una crisi (per me quella parola significava un evento straordinario; solo dopo avrei capito che era normale amministrazione) e le varie fazioni politiche si stavano dando un gran da fare per evitare la caduta del governo e l’eventuale necessità di andare ad elezioni anticipate.  Fin qui le cose mi sembravano chiare anche se per me una crisi di governo era un fenomeno nuovo e sconosciuto.  Ciò che ero sicura di aver fraintenso era il fatto che, nonostante stessero adoperandosi per evitare il peggio, in verità speravano di non farcela!  Aspettavo dai miei ospiti un’affettuosa risata in faccia ed invece mi sono sentita dire: “Sei bravissima. Sei appena arrivata in Italia. È da pochi mesi che parli l’italiano e già hai capito tutto”. Veramente non capivo un accidente e ancora oggi stento a capire.

Evidentemente gli studiosi di politica comparativa hanno ragione.  E’ raro che le riforme elettorali adottati da un Paese riescono a correggere i suoi difetti istituzionali.  Più spesso le leggi elettorali sono una riflessione del sotterraneo politico, non una determinante.  

Infatti, dieci anni fa gli italiani hanno partecipato con grandissimo entusiasmo ad un referendum con il quale hanno espresso il loro desiderio di cambiare radicalmente il sistema elettorale, cambiamento che hanno visto solo in parte: Volevano un sistema bi-partitico e ne hanno avuto uno bi-polare. Hanno chiesto il sistema maggioritario e l’hanno avuto per solo tre quarti e si parla di fare passi indietro. Hanno reclamato il voto diretto per l’esecutivo e l’hanno avuto per quanto riguarda i sindaci e i presidenti delle province e delle regioni, per il premier c’è solo l’indicazione, e il Presidente della Repubblica continua ad essere eletto dal parlamento.  In ogni modo, ma soprattutto, in modo gattopardesco, nella forma, è cambiato molto.  Nella sostanza, molto poco.

Regna tutt’ora il peggiore dei vizi politici italiani: la partitocrazia, altra parola che non esiste in inglese.  Il ruolo dei partiti è di fungere da tramite fra la società civile e le istituzioni dello Stato.  Dovrebbero interessarsi dei modi migliori per risolvere i problemi collettivi per il bene comune.  Invece, si occupano di se stessi, delle loro poltrone, diffamando i loro avversari per assicurarsi il potere.  Piuttosto che acquisire i voti attraverso programmi persuasivi, continuano a praticare il clientelismo: altra parola squisitamente italiana.

Anziché vedere la diminuzione del numero dei partiti, gli italiani lo hanno visto moltiplicarsi.  Questo vuol dire che un partito non può governare da solo.  Nella cosiddetta Prima Repubblica, si formavano le alleanze dopo le elezioni.  Adesso si formano prima.  Il risultato è uguale.  Governi formati da elementi disomogenei che possono far saltare tutto, quando salta loro il ticchio.

Berlusconi è stato invischiato dai suoi stessi alleati. Avrebbe voluto infischiarsene dei loro capricci e portare a fine il suo mandato.  Sarebbe stata la prima volta nella storia della Repubblica che un premier durasse i suoi cinque anni. Purtroppo ha dovuto ugualmente dimettersi.  Speriamo che riesca a rimanere in sella e a sanare la scuderia della Libertà prima delle prossime elezioni.  Non vorrei trovarmi tra l’incudine di dover vivere in un’Italia governata da Romano Prodi e il martello di un esilio in compagnia di Marco Pannella.



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