La hit parade degli ingrati, Ragion Politica, 28 aprile
2005
Ha dichiarato, recentemente, Furio Colombo: «Bisogna vedere
se l'aria democratica che sta soffiando in Medio Oriente sia di lunga durata
e, in ogni caso, nulla di ciò è merito di George W. Bush, che
ha condotto una guerra sbagliata per motivi sbagliati, ingannando il suo
popolo e tutto il resto del mondo. Non lo dico solo io, lo dice la metà
del popolo americano, tutta l'elite intellettuale degli Stati Uniti, tutti
gli analisti politici».
Che figura per l'ingrato privilegiato che è stato ospite
per lunghi anni degli Stati Uniti dipingendo ogni aberrazione sociale come
se fosse rappresentativa dello status quo e dell'americano medio sull'intero
territorio nazionale! Che figura, perché il giorno prima i suoi amati
intellettuali e analisti americani avevano proclamato il contrario, dando
«credit where credit is due», «merito dove il merito è
dovuto», ossia a George W. Bush.
Per esempio, un editorialista del New York Times scriveva: «E'
strano che sia io a dirlo, ma questo cambiamento è cominciato a causa
dell'invasione americana dell'Iraq». Un altro sul Washington Post celebrava:
«Il popolo siriano, quello egiziano, tutti danno segno che qualcosa
sta cambiando. E' cascato il muro di Berlino. Il fatto è sotto i nostri
occhi». Ma non sotto gli occhi ostinatamente chiusi di Furio Colombo.
Sempre sul Washington Post, Jackson Diehl ammetteva: «E' difficile
non credere che sia cominciata quella trasformazione regionale che l'amministrazione
Bush sperava si avviasse dall'invasione dell'Iraq».
Ma Furio Colombo non è il solo privilegiato ingrato a non
voler credere all'evidenza. In studio con lui su Rai 3 c'era anche Rula Jebreal,
giornalista «palestinese» che vomitava, anche lei, il suo veleno
contro George W. Bush. Scrivo «palestinese» fra virgolette perché
la signora Jebreal è nata a Haifa, che fino a prova contraria si trova
in Israele. Nata, cresciuta, educata nell'unica democrazia del Medio Oriente
con tutti i vantaggi annessi e connessi. La Jebreal è arrivata a Bologna
10 anni fa per studiare fisioterapia, ma ha subito capito che era molto più
sfruttabile l'identità di militante palestinese che le avrebbe facilitato
la sponsorizzazione della bella e ricca Afef, moglie araba di Tronchetti
Provera, il proprietario de La7, dove Rula sta facendo una carriera brillante.
Ma Rula non è l'unica a negare la verità guardandola
in faccia e a trasmutare la propria identità per motivi di marketing.
Per la scrittrice «iraniana» Farian Sabahi il fatto che 8 milioni
di iracheni abbiano votato in elezioni democratiche, dopo quelle afghane
e quelle palestinesi, che in Libano le piazze si siano riempite di gente
gioiosa che chiede libertà, che in Egitto Mubarak abbia già
ceduto alle pressioni nuove, e che in Siria stiano facendo altrettanto, non
sono cose che la emozionano, ma la preoccupano. «Se ci sarà
la pace fra Israele e i palestinesi, l'effetto domino sarà devastante
per alcuni Paese del Medio Oriente».
Metto «iraniana» fra virgolette anche per lei perché,
pur avendo un padre iraniano, trasferitosi però in Italia negli anni
Sessanta, prima della sua nascita, sua madre è italianissima. La Sabahi
è nata ad Alessandria, e non quella d'Egitto, ma quella della «paglia».
Insomma «la tota al'e' piemônteisa», non persiana! E' cresciuta,
educata, e istruita in Italia. Spacciarsi come iraniana è un atto
di puro opportunismo, un biglietto da visita per farsi bella presso i radical
chic di sinistra e procurarsi inviti a fiumi nei loro salotti. Oltre a scrivere
e frequentare i salotti televisivi (e meno male che Berlusconi ha il monopolio!),
la Sabahi è docente a contratto all'Università Bocconi di Milano
dove tiene il corso di Master's in Immigrazione, ossia insegna ai manager
italiani come devono fare per adeguarsi e adeguare le loro aziende ai nuovi
immigrati. Sì, avete capito. Non sono gli immigrati che devono adattarsi
al nuovo ambiente, ma sono i manager italiani a doversi adattare a loro.
E poi prendono in giro Oriana Fallaci quando parla di Eurabia!
Tornando alla hit parade degli ingrati, non è da meno Younis
Tawfik, iracheno trapiantato in Italia da più di vent'anni per scappare
dal regime di Saddam Hussein. La sua abile doppiezza gli ha procurato un
posto come editorialista per Il Giornale, dove si impegna a parlare solo
della sua gioia per il processo democratico che si sta realizzando nel suo
Paese. Ma quando frequenta i salotti alla Gad Lerner o le aule magna dei
licei torinesi, parla male degli americani «solo capaci di fare le
guerre». Se lo confronti con le sue contraddizioni, in pubblico ti
dice che era meglio far cadere Saddam Hussein senza scatenare una guerra!
E già, e come? Ma se gli fai la stessa domanda in privato, ti risponde
che si sente strumentalizzato dalla sinistra.
Furio Colombo, Rula Jebreal, Farian Sabahi, Younis Tawfik: strumentalizzati
tutti dal proprio fiuto di sapere da dove tira il vento che più gli
conviene.
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