Gagged by Gad Lerner, (Ragion Politica, 6 febbraio 2005)
Ossia tutto quello che avrei detto alla puntata dell’Infedele
se non fossi stata gagged (avere la bocca tappata) da Gad Lerner. Innanzitutto
forse bisognerebbe fare una premessa spiegando come sia nato il mio invito
alla sua trasmissione. L’anno scorso, subito dopo quello che non sapevamo
ancora che sarebbe stato solo la prima di tante decapitazioni, scrissi un
articolo intitolato “Lettera aperta a Gad Lerner”, lamentandomi del fatto
che, anziché trattare quell’argomento, lui aveva insistito a fare
ancora un’altra puntata sulle torture, intitolata “Che cosa è successo
agli americani?”, come se l’indole americana insieme alla politica estera
degli Stati Uniti fossero basate sul gusto delle torture. Lo accusai
anche per il fatto che alla sua trasmissione venivano invitati solo americani
esclusivamente antiamericani.
In seguito ricevetti una e-mail proprio da Gad Lerner assicurandomi
che “nonostante lunghi contatti e ricerche, nessun americano filo-Bush” abbia
mai voluto partecipare alla sua trasmissione. “Sapesse quanto abbiamo insistito,
e quante garanzie di comportamento corretto ho manifestato. Chi prima e chi
dopo, si sono sottratti tutti.” Chi sa come mai! Il fatto stesso che
lui abbia trovato necessario insistere e garantire un comportamento corretto
la dice lunga sul perché tutti si rifiutavano. Ha espresso il
suo piacere di avere finalmente conosciuto una che sarebbe disposta a partecipare
e ha promesso di invitarmi quanto prima. Otto mesi dopo ha mantenuto
la sua promessa e, naturalmente, ho accettato.
Non si capisce, però, perché si è scomodato
tanto per invitarmi visto che poi non solo non mi ha lasciato parlare, ma
non mi ha neanche presentata, pur sapendo del mio impegno come docente di
diritto e della mia collaborazione editoriale con tante testate sia americane
sia italiane. Mi ha presentata come una “statunitense” qualsiasi che
era lì quasi per caso, raccolta per la strada, a malapena pronunciando
il mio cognome.
Ma lasciamo stare per adesso i retroscena e parliamo del contenuto.
A Lucia Annunziata, in diretta da Baghdad, avrei espresso il mio apprezzamento
per la sua obiettiva esposizione di un miracolo che stava per succedere.
A Lorenzo Cremonesi, anche lui in collegamento da Baghdad, avrei detto altrettanto,
per il suo riconoscimento del fatto che, nonostante il pericolo causato dai
terroristi, i giornalisti riescono a svolgere il loro lavoro con completa
libertà, cosa impossibile due anni fa.
A Massimo Toschi, della Tavola per la Pace (perché c’è
una tavola per la guerra, mi domando?) che non si fidava di un voto che nasce
dalle circostanze in cui le elezioni si stavano svolgendo, lamentandosi dei
30-50 morti che succedono al giorno, “cosa inaccettabile”, avrei chiesto
dove era il suo lamento quando Saddam Hussein ne faceva fuori 400-500 al
giorno.
A Rita Di Leo, che insegna Relazioni Internazionali alla Sapienza
di Roma, che ha dato del Truman Show allo spettacolo di vedere tanti iracheni
in coda sorridenti e festeggianti per la gioia di celebrare un rito che noi
diamo per scontato, avrei detto: “Dio salvi i suoi studenti” da un’anima
come la sua che non riesce a commuoversi davanti ad un avvenimento storico
emozionante come pochi, sia per chi lo vive, sia per chi lo osserva.
Al suo cinico relativismo culturale verso la prontezza di altri popoli a
recepire la democrazia, avrei opposto la preghiera di una sociologa afgana:
“Ciò che chiediamo all’Occidente è che voi la smettiate di
considerare lo stato laico un valore vostro”. O quella di un iracheno
esiliato negli Stati Uniti: “Non c’è niente nel DNA del popolo arabo
che lo rende immune alla democrazia”.
A Farian Sabahi, italiana e iraniana, che a parole sembrava abbastanza
moderata mentre invece i suoi occhi sornioni e il suo annuire ad ogni cattiveria
che usciva dalla bocca di Imad El Atrache di Al Jazeera tradivano il suo
antiamericanismo viscerale, le avrei chiesto come mai, se in Iran si sta
così bene, ci sono tanti iraniani che raccontano che non aspettano
altro che l’arrivo degli americani? Tant’è vero che quando i
bombardieri americani sorvolavano l’Iran per andare in Afghanistan, hanno
esposto degli striscioni giganteschi al cielo con la scritta “bombardate
anche qui, per favore”.
Sembrava una combriccola di amici sessantottini che, diventando
grandi, sono riusciti ad impossessarsi dei mezzi di comunicazione e che per
far vedere che sono democratici, hanno invitato un’americana. Mi dispiace,
Mr. Lerner, ma non ha ingannato nessuno, e non ha adempiuto il suo impegno
con me. Se invita un’ospite e non la fa parlare, perché ogni
due parole che dice, lei la interrompe, forzandola ad abbandonare la sua
solita pacatezza e a tirar fuori una grinta inaspettata pur di finire il
suo pensiero, e lei, pur di non permetterle di finire, dà l’ordine
di staccare il suo microfono, allora questo non è un “comportamento
corretto”.
Hanno ragione, quindi, quelli che rifiutano l’invito. Bisogna
boicottare in tutti i modi le trasmissioni a conduzione faziosa, sia come
interlocutore, non andandoci, sia come pubblico, lasciandoli alle loro contorsioni
mentali, cambiando il canale, spegnendo l’interruttore, staccando la spina,
abbassando l’audience finché non trovino conduttori che conoscano
le regole del fair play e anche quella della buona educazione.
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