Elezioni USA: Perché il “turnout” è così
basso (Ragion Politica, 12 novembre 2004
)
Secondo i mass media di mezzo mondo il “turnout” dell’elettorato
americano quest’anno avrebbe dovuto raggiungere un record mai visto nella
storia degli Stati Uniti. E secondo loro quest’esubero avrebbe dovuto
giocare a favore del candidato democratico, John F. Kerry. Hanno sbagliato
di grosso su tutte e due i conti. E’ vero che la partecipazione al
voto ha avuto un forte incremento rispetto alle elezioni del 2000.
Ma non ha raggiunto i suoi massimi del 1960 al 63.06% o del 1964 al 61.92%,
ma neanche del 1968 al 60.84. In Italia, chi prevedeva la vittoria di Kerry
grazie al voto dei giovani, non ha tenuto conto del fatto che negli Stati
Uniti le prediche persuasive e politicanti da parte dei professori che vivono
nelle loro torri d’avorio, fuori dalla realtà, cominciano solo all’università.
Nei licei americani si cerca di fare utilizzare il cervello ai ragazzi non
di lavarglielo!
In ogni modo, gli italiani sono sempre stati molto sorpresi a
sapere quanto sia bassa la partecipazione al voto del corpo elettorale negli
Stati Uniti. Con una percentuale che oscilla fra 50 e 60%, c’è
anche chi accusa gli USA di avere un deficit di democrazia, perché
vedono in quel 40 o 50% di astensione un segno di dissenso.
E’ pur vero che qui in Italia si è abituati a cifre ben
più alte: 92.2% nelle politiche del 1948. E anche se da
allora si sono abbassate fino all’81.2% nel 2001, undici punti in meno, sono
sempre molto al di sopra di quelle americane.
Non è da escludere che una parte del numero degli astensionisti
negli Stati Uniti rappresenti la disillusione di certi cittadini, ma ciò
vale per una piccolissima frazione di quel numero. La non partecipazione
rappresenta l’assenso, molto più del dissenso. In ogni modo
i motivi per cui ci sia una così grossa differenza sono tantissimi:
storici, economici, e politici.
Cominciamo con quelli storici. Gli Stati Uniti sono una
democrazia dalla loro nascita, ossia da più di duecento anni.
La democrazia insieme alla libertà sono le sue raisons d’être!
Gli americani non temono che nel caso non andassero a votare potrebbe rovesciarsi
tutto, che potrebbe installarsi un governo totalitario. Se vanno alle
urne o se stanno a casa, sanno che la vita andrà democraticamente
avanti. E se quello che viene eletto combina tanti pasticci, fra quattro
anni potranno andare alle urne e cacciarlo. Si potrebbe dire che danno
per scontata la loro democrazia.
In Italia invece la democrazia è relativamente nuova, soprattutto
nella sua forma repubblicana a suffragio universale, ed era stata interrotta
da due decenni di dittatura. Tant’è vero che i padri fondatori
della repubblica sentirono la necessità di scrivere nell’articolo
48 della Costituzione che, “votare è un dovere civico”, per indurre
i cittadini all’abitudine del voto.
Non c’è una tale ingiunzione nella Costituzione americana.
Per gli americani la parola più importante in assoluto è “libertà”.
Questo significa anche la libertà di non partecipare, per quanto sia
auspicabile che i cittadini abbiano un senso civico che porti loro alle urne.
Nonostante che i costituenti della repubblica italiana abbiano
usato la parola “dovere”, in realtà per molti anni votare è
stato un obbligo. E’ qui si tratta di uno dei motivi economici.
Per molti anni chi non andava a votare era messo su una specie di lista nera.
C’è chi dice che il fatto finiva addirittura sulla propria fedina
penale. Non si sa quando sia iniziata né quando sia terminata questa
pratica, perché era consuetudine, non legge. In ogni modo chi
non andava a votare era penalizzato, negandogli la possibilità di
partecipare ai concorsi pubblici o di accedere ad un lavoro nel settore pubblico.
Ancora oggi il settore pubblico è la più importante fonte di
lavoro del Paese, ma a quei tempi, prima delle privatizzazioni, lo Stato
non manteneva solo uffici e scuole, ma produceva panettoni, pomodori in scatola
e olio d’oliva. Persino l’Alfa Romeo apparteneva allo Stato.
Quindi avere una tale macchia significava autoescludersi da una grossa fetta
del mercato del lavoro, condannarsi alla disoccupazione perpetua. Non è
poco come incentivo, ma non ha niente a che vedere con lo spirito democratico!
Poi c’era il motivo politico/ideologico. Durante la guerra
fredda il Partito Comunista Italiano era il partito comunista più
cospicuo e più potente dell’Europa occidentale, ed erano bravissimi,
con la loro militanza, a mobilitare i loro iscritti verso le urne.
La Chiesa e il partito Democristiano non erano da meno, con storie di suore
che portavano le urne negli ospedali o che uscivano dalla clausura per andare
loro stesse a votare! Con il 30% del voto ciascuno, già si raggiungeva
il 60%.
Insomma, come si è visto, l’alta partecipazione al voto
non indica un surplus di democrazia, come una più bassa non rappresenta
un deficit. Basta pensare all’Unione Sovietica o all’Iraq di Saddam
Hussein, dove la partecipazione era pressoché 100%, per accorgersi
che un’altissima percentuale di partecipazione è più un’indicazione
di costrizione che di volontà, un segno più totalitario che
democratico.
Return to home page Return to list
Editors interested in subscribing to this syndicated column may request information by sending an e-mail to: giogia@giogia.com