I dibatti e il linguaggio del corpo
(Ragion Politica, 8 ottobre 2004)
Dei dibattiti presidenziali negli Stati Uniti si dice che conta
l’impressione globale più del contenuto dei discorsi, il linguaggio
del corpo più delle parole pronunciate. Secondo questa teoria
è stato il gesto sbagliato di Bush padre quando guardò il suo
orologio come se perdesse la pazienza o avesse meglio da fare a fargli perdere
contro Clinton. Sono stati i ripetuti sospiri di insofferenza di Gore
a fargli perdere contro Bush. E’ stata l’espressione di uno che stesse
subendo l’estrazione di una radice dentale a far perdere Nixon contro Kennedy.
Certamente nel primo dibattito fra Bush e Kerry non c’era niente
né nel linguaggio del corpo di Bush né nel suo discorso che
promettesse bene: Non ha saputo nascondere la sua irritazione verso le parole
pronunciate dall’avversario e il suo portamento era di uno che giocava sulla
difensiva. E questo nonostante il fatto che a parole dicesse che per
combattere il terrorismo bisognava giocare all’offensiva. Il suo discorso
era sconnesso, ripetitivo e poco convincente. C’era da morire di imbarazzo
per lui.
Kerry invece era molto composto e “presidenziale”. Ha saputo dare
delle risposte che avevano tutta la sembianza di sensatezza per chi non si
ricordava di ciò che aveva risposto alla domanda precedente.
Sì, perché non c’è verso. In termini d’oscillazione
Kerry non si smentisce mai. A volte sembra neanche rendersene conto.
Altre volte l’ammette e si spiega in modo convincente per quanto contraddicente.
Insomma, sa parlare come sanno parlare quelli di sinistra. Come quelli
che se la cavano agli esami, non perché hanno saputo rispondere alla
domanda specifica del professore, ma perché hanno saputo rispondere
senza mai mollare.
Secondo i sondaggi fatti dalla CNN, prima del dibatto Bush aveva
un vantaggio di 54 a 44. Quando invece rispondevano alla domanda “A
chi è andato meglio il dibattito?” il risultato era Kerry 53, Bush
37. Poi, quando veniva chiesto “Che effetto ha avuto il dibattito sulla
tua opinione di John Kerry?”, il 46% ha dichiarato di aver un’opinione più
favorevole di prima, e il 13%, meno favorevole. Fatta la stessa domanda
per Bush, il 21% era più favorevole, il 17% meno. C’è
un chiaro margine 2 a 1, di chi dice che Kerry ha saputo esprimersi con più
chiarezza.
Ma alle domande più concrete: Chi farebbe un lavoro
migliore a gestire Iraq e chi sarebbe meglio come commander-in-chief?
E’ Bush che vince in termine di saldezza e risolutezza.
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