Sacrilegio! Una stroncatura di Chomsky (Il Giornale, 18 settembre 2004)
Ruggero Guarini su Il Giornale si lamenta che nessuno finora abbia
avuto il coraggio di dare alla doppia genialità di Noam Chomsky il
giudizio d’imbecillità che merita, sia per le sue teorie politiche
che per quelle linguistiche. Beh, naturalmente Lei non poteva saperlo,
ma io nel mio piccolo questo doppio sacrilegio l’avevo commesso e per entrambi
casi.
Il più recente fu nel dicembre del 2001 quando mi buttai
in una vera fossa dei leoni andando ad una conferenza intitolata “Cos’è
l’antiamericanismo?” alla Fondazione Gramsci di Torino.
Una conferenziera si presentò come femminista, pacifista
ed anti-globalista. Mi ricordo di aver pensato “si vede che il detto ‘non
ci sono due senza tre’ vale non solo per le disgrazie ma anche per le imbecillità”.
Diceva di trovarsi in imbarazzo a parlare ad una conferenza con tale titolo,
poiché non condivideva l’utilizzo di quell’aggettivo, “americano”,
per descrivere tutto ciò e chi provengono dagli Stati Uniti, trovandolo
un sopruso, un’arroganza, una disistima per i canadesi, i messicani, i colombiani,
i venezuelani e tutti gli altri abitanti di quel continente.
Poi con aria di gran generosità, dichiarò che lei
non ce l’aveva coi cittadini americani, ma con il loro governo. Anzi, aveva
avuto modo di leggere un recente articolo di Noam Chomsky che aveva trovato
“confortante” e rappresentativo della parte “migliore” del popolo americano!
Dopo vari altri interventi, il pubblico fu invitato ad intervenire
o porgere domande. Io, che mi trovo molto più a mio agio con carta
e penna che col microfono, in quell’occasione non potei trattenermi.
Fece presente alla signora di aver già sviluppato una certa
consapevolezza della sensibilità degli altri verso la nostra “appropriazione
indebita” dell’aggettivo “americano”. Ma è anche vero che, quando,
sentendo il mio accento la gente mi chiede se sono inglese e io rispondo
che sono invece degli Stati Uniti, sono proprio loro a dirmi in modo esclamativo,
“Ah, allora sei americana!” Le chiesi come dovevamo chiamarci
secondo il suo gentile parere. Gli altri abitanti del continente hanno un
aggettivo con il quale si auto-descrivono: cileni, brasiliani, costaricani.
Noi invece come dovremmo chiamarci? Unitiani? Statisti? “Piacere di conoscerla,
io sono statunitense.” Ma mi ridono in faccia! E in inglese come lo dico?
Arrampicandomi sui vetri per inventare un altro neologismo che non vuol dire
niente a nessuno per soddisfare quelli della religione del political correctness?
Poi, francamente, dopo l’11 settembre, mi è passata la voglia di camminare
sulle uova della sensibilità altrui. Guarda caso, il mio Paese si
chiama the United States of America. Quest’ “America” l’abbiamo messo nella
nostra ragione sociale. Se gli altri volevano farsi chiamare americani, avevano
solo da metterlo nella ragione sociale anche loro. I canadesi potevano chiamarsi
the Canadian Provinces of America. Ma non l’hanno fatto. Peggio per loro.
Ma adesso basta. Io sono americana e non ho voglia di chiedere più
scusa a nessuno.
Poi le rivelai che non poteva separare così banalmente
il popolo americano dal suo governo perché da noi esiste un fenomeno,
che, magari per lei era poco conosciuto, ma che si chiama democrazia.
Che gli americani si sentono rappresentati dal loro governo, persino quando
non vincono i candidati per i quali loro personalmente hanno votato.
Non si lamentano che le leggi si fanno a “colpi di maggioranza”, ci mancherebbe
altro!
Le spiegai che lei faceva male a voler bene agli americani pensando
che loro siano come il suo preziosissimo Chomsky, perché Chomsky non
rappresenta per niente né gli Stati Uniti né i suoi cittadini.
La stragrande maggioranza non sa neanche chi sia. Pochissimi miei connazionali
conoscono le sue idee e se le venissero a sapere sarebbero inorriditi di
scalpore. Lo considererebbero un candidato, insieme a Gore Vidal e Michael
Moore per un processo d’alto tradimento con minima pena: il ritiro
della cittadinanza.
Per quanto riguarda invece le geniali teorie linguistiche di Chomsky,
mi ricordo di aver scritto un paper sull’argomento all’università
avendo trovato le sue visioni concettualmente confuse e la sua pretesa di
considerare la linguistica una scienza naturale semplicemente assurda.
Persino Chomsky nel frattempo ha cambiato idea sulle sue teorie, purtroppo
solo su quelle linguistiche, non so se dopo la lettura di “The New Gramarians’
Funeral: A Critique of Noam Chomsky’s Linguistics” (Il Funerale dei nuovi
grammatici: Una critica della linguistica di Noam Chomsky) scritto
da Ian Robinson.
Ha visto, caro Guarini? C’è anche chi ha scritto un libro
profanando il genio di Chomsky. Ma Lei sa benissimo che siamo
in tanti a dubitare della sua genialità. Lo rivela il sofisma
del incipit del suo articolo: finora nessuno ha mai avuto il coraggio,
“nemmeno coloro che trovano le sue idee politiche semplicemente ridicole…”.
Forse voleva solo sollecitarci a cantare nel suo coro. Allora canto.
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