Italian Perspectives                                     
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L'11 settembre:  Oriana non sei sola

Il Direttore del Centro Pannunzio di Torino mi ha chiesto si partecipare ad una serata dedicata al libro di Oriana Fallaci in occasione dell’11 settembre.  Non so se a Lei potrebbe interessare pubblicare il testo che ho preparato, la testimonianza dell’11 settembre di un’americana in Italia.

Questa è la prima volta che io parlo in pubblico.  Quindi sia per l’emozione per quel fatto che per i fatti che ci riuniscono qui stasera, spero che non vi dispiaccia se io leggo il discorso che ho preparato.

L’11 settembre stavo andando ad un concerto di Settembre Musica in una chiesa Torinese, quando è successo ciò che è successo.  Prima del concerto hanno fatto un accenno ad un fatto gravissimo, ma non hanno detto che cosa o dove.  Hanno solo detto che pensavano che il miglior modo di combattere il male del terrorismo fosse di continuare a vivere, e quindi il concerto ha avuto luogo come previsto.  Così quando sono arrivata a casa, non sapevo niente, ma ho trovato la mia segreteria telefonica piena zeppa di messaggi di persone che volevano sapere come stavo.  Non capivo ma capivo che per capire avrei dovuto accendere la televisione.  E così ho fatto e ho visto le immagini che conosciamo tutti.  Quindi non ho visto lo svolgimento degli avvenimento come tanti hanno visto.  E forse è per quello, che per alcuni giorni non riuscivo del tutto a realizzarlo.  O forse è perché ero in uno stato di shock che allora non riconoscevo, o forse era un rifiuto di voler credere.  Non riuscivo ad immaginare come il mio Paese poteva sopravvivere ed essere lo stesso dopo un simile oltraggio.

Nella mia segreteria c’erano tanti messaggi da persone che non sento spesso.  E inizialmente ho apprezzato molto che abbiano voluto essermi vicino.  Ma poi quando li ho richiamati, mi sono accorta che per molti di loro, il loro cordoglio era condizionato da un “ma” di circostanza, di cui ho anche scritto, lo stesso “ma” di circostanza che si usa verso gli atti terroristici commessi contro gli ebrei in Israele.  Un “Ma” che dice, sì, per carità, dispiace per le vittime innocenti, ma…..appunto…… ma, sia Israele che gli Stati Uniti, se li sono cercati i guai di cui sono vittime.  Ho capito dopo quelle telefonate che c’era gente che non avrei più potuto frequentare.  E quando, col tempo, sono rimasti i pochi intimi, ho saputo che anche a loro era successo la stessa cosa.  Anche loro avevano dovuto fare una gran pulizia.  Quelli che avevano vissuto i tempi delle leggi razziale durante il Fascismo, anche se erano bambini durante la Guerra, mi dicevano che per loro il loro mondo era di nuovo diviso in due come lo era allora, fra gente frequentabile e gente che non si poteva più frequentare per l’abisso fra i valori condivisi.

Una settimana prima dell’11 settembre, avevo iniziato un nuovo lavoro, insegnando diritto ed economia in un liceo torinese.  Un liceo che ha la reputazione di essere frequentata dai figli della cosiddetta borghesia bene di sinistra.  Così vi lascio immaginare come mi sentivo quando hanno annunciato un’autogestione accompagnato da un documento con un contenuto estremamente anti-americano.

In quel periodo, oltre alle poche persone che avevo vicino, sono state due le cose che mi hanno dato un gran sollievo e del conforto.  Una era la manifestazione Pro-Usa a Roma promossa da Giuliano Ferrara attraverso il suo giornale, Il Foglio.  La prima manifestazione alla quale ho partecipato in vita mia.  E vi leggo un piccolo estratto di una lettera che ho scritto a Ferrara per ringraziarlo per quell’iniziativa:

“Vorrei ringraziarla per aver avuto la nobilissima idea di fare quella nostra manifestazione e per aver perseverato nonostante tutte le polemiche che la sua idea ha suscitato: Tre settimane d’ignobili dibattiti politici e discussioni sulle pagine editoriali.

I membri dell’opposizione che insistevano sulla futilità di fare un gesto simile due mesi dopo il fatto non avevano capito niente.  Essere commossi, pronunciare parole di empatia, esprimere solidarietà nei momenti immediatamente dopo il fatto era cosa facile, se non scontata.  Esserci quando le immagini terribili cominciano a sbiadire, quando dalle parole bisogna passare ai fatti, quando, per tradurre un’espressione molto americano, devi mettere i soldi al posto della bocca, è lì che dimostri di che pasta sia fatta la tua solidarietà.”

E l’altra cosa che mi ha dato conforto in quel periodo era l’articolo, Rabbia e Orgoglio, poi diventato libro, di Oriana Fallaci, comparsa sul Corriere della Sera.

Durante quella giornata non ero riuscita a procurarmi una copia del Corriere.  E così la sera, prima di andare a letto, me lo sono cercato su Internet e ho cominciato a leggerlo sullo schermo del mio portatile.  Dopo poche righe, stavo per rinunciare alla lettura.  Non potevo, non volevo, sentire, leggere un’altra testimonianza personale della tragedia.  Non ne potevo più.  Ma ho deciso di dare un’occhiata al resto.  E così ho premuto la freccetta per scorrere giù per l’articolo, e l’ho premuta, e l’ho premuta.  E non vorrei annoiarvi, ma l’ho premuto ancora e ancora e a questo punto non so dirvi quante volte ho dovuto premere per arrivare alla fine.  Ero incredula nel vedere quest’interminabile fiume di parole, incredula che un pezzo scritto per un quotidiano poteva essere così lungo.   Ma mentre scorrevo quella pagina interminabile i miei occhi percepivano qualcosa del contenuto e ho capito che volevo, che dovevo proprio leggerlo.  Gran dilemma.  Lo stampo o non lo stampo?  Mica potevo stare lì seduta davanti allo schermo fino a notte inoltrata.  E così per la prima volta in vita mia, ho staccato la spina e mi sono portata il portatile a letto e non ho dormito finche l’avevo finito.  Sono rimasta senza fiato leggendolo.  Era come avere le parole strappate dalla mia indole.  Era come sentire la mia propria voce.  È da 8 anni che scrivo una rubrica sui giornali negli Stati Uniti, che si chiama Overseas Perspectives.  Il mio primissimo articolo come opinionista riguardava proprio il tema del pericolo del fondamentalismo islamico.  Le mie stesse rabbie: per l’oltraggio in se, per l’odio buttatoci addosso insieme agli aeri contro le due torri, per i buonisti italiani che giustificano ogni male che non sia di stampo occidentale.  Ho trovato una tale affinità nelle sue parole e nella sua rabbia, era come se avesse trovato una sorella maggiore.  Lei, italiana che sceglie di vivere nel mio Paese.  Io, americana che scelgo di vivere nel suo.   Però tutte e due critiche delle stesse cose sia nei nostri propri Paesi sia in quello d’adozione.

Ho anche scritto un’elogio in forma di poesia ad Oriana che è stata pubblicata da Ida Magli e Giordano Bruno Guerri nella loro pubblicazione Italiani Liberi, che adesso vi leggo.  Si intitola:

LONG LIVE FALLACI!

Meno male che c'è Oriana
Che stacca i suoi urli fuori del coro
Che canta squisitamente scorrettissima e stonata,
Dal punto di vista politico.

Niente distinguo.
Niente "ma."
Niente peli sulla lingua.
No tentative tiptoeing.
No walking on eggs.
Avrà forse notato, Sig. Direttore,
Per le raffiche di rabbia con le quali sto riempiendo
La buca della sua posta elettronica,
Che anche io, nel mio piccolo,
Ho perso la pazienza con le parole
Che sappiano troppo di "beating around the bush".
Io che mi spaccio per bostoniana,
Che mi vanto a destra e a manca
Di essere di puro sangue siculo,
Forse attraverso l'affinità che provo per la Fallaci,
Sto scoprendo le mie vere radici.
Quel mio bisnonno imprenditore di Salemi,
Morto per la malattia del sonno,
Prima che a qualcuno in famiglia venisse in mente
Di informarsi sulla sua vera provenienza
(Visto che Giacomazzi con la Sicilia, non c'entra proprio niente),
Sarà forse stato un toscanaccio d'importazione
Che avrà tramandato alla mia penna la sua linguaccia d'origine?

In ogni caso,
Toscani o no.
Voci veraci unitevi,
Che a furia di urli all'unisono
Facciamo un coro consonante
Dei valori per i quali vale la pena di vivere,
E difendere da qui li vorrebbe violare.
Evviva Oriana!
Non sei sola.



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