Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 56 del 08-03-2007

Fra il conservatorismo estremista e il cambiamento radicale, i “riformisti” servono solo come collante

Le tre sinistre di Luca Ricolfi: massimalista, liberale modernizzatrice e riformista

 di Sandra Giovanna Giacomazzi

Per Luca Ricolfi l’Italia di oggi non ha due sinistre ma ben tre. C’è la sinistra estremista, massimalista, retrograda, anti-tutto: anti-americana, anti-israeliana, anti-clericale, anti-moderna e radicalmente conservatrice, ossia quella che lui chiama “radcon”. Per questa sinistra del primo tipo, se da una parte è convinta che la società andrebbe rifatta dalla testa ai piedi, dall'altra crede che la maggior parte delle riforme in discussione servirebbe solo a peggiorare le condizioni dei lavoratori. Quindi è propensa a fermare tutti i cambiamenti sia che riguardino il mercato del lavoro, le pensioni, la sanità o la scuola. Per la sinistra radicalmente conservatrice la modernizzazione è un segnale di allarme di nuovi rischi e di nuova povertà. L'unica ricetta per risolvere le disuguaglianze è quella antica, anche se fallita, del trasferimento delle risorse dai ricchi ai poveri.

La seconda sinistra, secondo Ricolfi, è l’antitesi dei “radcon”. Vorrebbe radicalmente cambiare la società e per questo lui la chiama “radcam”. Questa sinistra è liberale e modernizzatrice. Predica concetti come la concorrenza e la competitività, la meritocrazia e gli ammortizzatori sociali, la flessibilità e il federalismo fiscale. Vorrebbe abbassare le aliquote e riformare il welfare. Per questa sinistra il modo di risolvere le disuguaglianze è l’applicazione di un sistema basato sul merito. Non è il cambiamento ma l'immobilismo che confina i ceti deboli alla loro condizione subalterna.

 Fra le due sinistre minoritarie ed antitetiche, ma ognuna coerente con se stessa, ci sarebbe, secondo Ricolfi una terza sinistra. Più ampia, più autorevole e più potente, questa è la sinistra “riformatrice”. Ricolfi ammonisce che la missione di questa sinistra del terzo tipo è tutt’altro che lodevole: vuole tenere tutte le sinistre unite, costi quello che costi. Parla come la sinistra modernizzatrice, ma agisce come quella conservatrice. Vorrebbe cambiare l’Italia, ma pensa di poterlo fare solo assieme a chi ha paura del cambiamento. Questa schizofrenia fra il suo dire e il suo fare produce discorsi "irrimediabilmente insinceri" in "formule astratte", e "sofismi verbali" che "suonano velleitari".

 Dell'analisi di Ricolfi c'è una cosa che non ci quadra. Nella sua sinistra del secondo tipo, quello a favore del cambiamento radicale, non vediamo niente “di sinistra". Le sue ambizioni, obiettivi e visioni sembrano tali e quale a quelli della destra liberale. Quindi non capiamo questa necessità di continuare a definirsi "di sinistra". Perché non fare il passaggio che hanno fatto tanti di trasferire l’idealismo di gioventù al ragionamento della maturità?  Come la frase attribuita a Churchill: “Se non sei socialista a vent’anni, non hai cuore, se lo sei ancora a quaranta, non hai cervello” ma che tanti hanno detto già prima di lui in altre epoche e con altre targhe politiche: da Francois Guisot, 1787-1874, a Benjamin Disraeli, 1804-1881, e poi Georges Clemenceau, 1841-1929.

 Le uniche spiegazioni che riusciamo a trovare per quest’anomalia tutta italiana di predicare da destra liberale e insistere nel chiamarsi e sentirsi “di sinistra” sono: l’assuefazione alla radicalchickeria, la puzza sotto il naso, e un’allergia incurabilmente antropologica.


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