(Pubblicato in versione ridotta nel Foglio il 5 dicembre 2001)
Se con il suo intervento di giovedì 29 novembre, Lietta Tornabuoni, voleva scioccare, colpire offendendo, ha centrato in pieno il suo scopo. Apre la sua invettiva con una citazione: “Se io ti do uno schiaffo e per reazione tu mi ammazzi, l’assassino sei tu e non io.” Con quest’esternazione, la “Signora” intende come schiaffo, l’abbattimento delle Twin Towers, e l’assassino sarebbe la forza militare del mio Paese. Sono davvero oltraggiata.
Vengo dal Paese più libero dal mondo, ma, ad una così, ridurrei la libertà di parola ai limiti concessi in ambiente talebano. La Stampa invece l’ha permesso di proseguire.
Si preoccupa dei diritti dei miei concittadini negli Stati Uniti, che sono invece ben contenti di rinunciare TEMPORANEAMENTE ad un po’ di libertà in cambio di più sicurezza. Si inquieta per i diritti degli immigrati mediorientali, ma si vede che non le disturba il sonno sentire le rivelazioni che impariamo ogni giorno sui complotti per attentati programmati e non ancora compiuti.
È intimorita dall’idea che il mio Paese possa lasciarsi prendere da un “imperialismo invasivo, teso a soggiogare l’intera regione e ad impadronirsi globalmente delle risorse petroliere mondiali. Non la turba invece che la maggior parte di queste risorse sia in mano a gente capace di bruciare i pozzi per dispetto, come ha fatto Saddam Hussein in Kuwait.
Accusa un leader politico americano di “nazismo,” perché ha dichiarato che questo sarebbe una guerra senza prigionieri. Evidentemente è uno che aveva intuito che i talibani sopravissuti sarebbero stati solo capaci di commettere atti orripilanti, come l’uccisione dei loro soccorritori crocerossini.
Si permette di disapprovare gli stanziamenti e la libertà operativa che sono stati concessi alla CIA e FBI, ma critica contemporaneamente i loro errori precedenti che potevano essere dipesi dalla loro mancanza.
Da una parte, concede che all’inizio, cioè subito dopo l’11 settembre, si poteva anche mostrare comprensione per la “necessità politica” di una reazione forte. È possibile che non capisca che le reazioni forti non derivano da necessità politiche, ma da necessità reali, di sopravivenza della nostra società?
Dall’altra, si lamenta dei tempi che per lei sembrano
interminabili: quasi ottanta giorni! Forse qualcuno dovrebbe spiegare
alla Signora Tornabuoni, più conosciuta per e forse più adatta
alla recensione di film, che qui si tratta di realtà, non di cinema
dove le trame si risolvono in un’ora e mezza.
In questi giorni si sta criticando tanto l’autocensura
dei giornali statunitensi, ma forse sarebbe il caso che quegli italiani
prendessero esempio. Se uno legge Il Manifesto, Liberazione, L’Unità,
o anche La Repubblica, se l’aspetta di trovare il virus di antiamericanismo
ed il aribaltamento della realtà. Se l’aspetta molto di meno
di leggere simili elucubrazioni oltranziste in un giornale più equilibrato
come La Stampa.
Dicembre 2001
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