Italian Perspectives                                             
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Tassare redditi o consumi?  (Ragion Politica, 23 luglio 2005)

In un recente articolo sul Corriere della Sera Franceso Giavazzi aveva suggerito lo spostamento di una parte dell’Irap e dei contributi sociali sull’Iva, misura che è stata nel frattempo scartata dal ministro Siniscalco.  Giavazzi aveva indicato gli Stati Uniti come fonte originaria dell’idea di trasferire oneri fiscali dai redditi ai consumi.

È vero.  Negli Stati Uniti si discute ormai da molti anni l’idea di eliminare l’income tax (Irpef) e aumentare il sales tax (Iva).  È un’idea molto allettante.  Gli americani pagano le loro tasse rigorosamente e religiosamente, anche perché dall’Internal Revenue Service (l’Uffico delle Imposte) non c’è via di scampo. Però non dimenticano mai la loro allergia verso il fisco che risale alla rivoluzione contro gli inglesi, quando hanno buttato il te del Re nel mare di Boston.

Il 15 aprile è il giorno più odiato dagli americani, la data di scadenza per consegnare la dichiarazione dei redditi.  Non è una brutta idea spostare la tassazione dal guadagno alla spesa.  Così non si penalizza chi lavora e guadagna di più, ma chi spende di più, e chi non è tassato alla fonte ha più soldi in tasca da spendere.  Questa, però, è un’idea che solo gli americani possono permettersi.  In Italia l’Iva è già alle stelle; un quinto del costo di ogni bene e ogni servizio va allo Stato.

A differenza dell’Iva italiana al 20%, negli Stati Uniti il sales tax è una tassa locale di ogni stato e varia dallo 0% nel New Hampshire all’8% nel New York e nella California.  Sì, avete capito bene.  Nel New Hampshire, non si paga nessuna tassa sul valore delle merci!  Il motto dello stato è “Live free or die” Vivere liberi o morire), e con “liberi” intendono anche liberi dagli oneri fiscali!  E sui cibi al supermercato, il sales tax non esiste proprio.

Un'altra importante differenza fra gli Stati Uniti e l’Italia riguarda l’imposta di valore aggiunto, che in Italia è già inclusa nel prezzo.  Negli Stati Uniti invece i prezzi esposti sulle etichette sono privi di sales tax.  Questo vuol dire che ogni volta che un americano va alla cassa a pagare riceve una brutta sorpresa se non ha tenuto conto del sales tax man mano che raccoglieva gli oggetti che intendeva comprare.  Il vantaggio, però, di questa brutta sorpresa è la consapevolezza dei cittadini.  Ogni volta che comprano qualcosa hanno la piena cognizione di quanto stanno dando alla Nike o alla Sony o al negoziante e quanto stanno dando allo Stato.

In Italia, invece, anche se sappiamo che l’Iva è del 20%, quando compriamo un cellulare che costa 100 Euro, non pensiamo mai che 20 di quegli Euro finiscono nelle mani dello Stato.

Nel suo articolo Giavazzi ha criticato la poca disponibilità di Sergio Billè, presidente dei commercianti, e del ministro Calderoli verso una politica fiscale così creativa: «Per noi non ha alcun senso diminuire qui e aumentare là, la copertura si deve trovare altrove».  Però, in questo caso, hanno ragione loro.  Con l’Iva già al 20%, non c’è un margine per giocare nessun aumento.


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