Italian Perspectives                                         
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Una serata andreottiana: in ricordo della Prima Repubblica (L'Opinione, 7 giugno 2003)

Uno dei primi ricordi che ho dei miei sforzi di capire qualcosa della politica italiana risale al 1979. Vivevo in Italia solo da un paio di mesi e nonostante il fatto che il mio “conversational” italiano fosse già adeguato per arrangiarmi in tutte le occasioni, mi ci voleva un grande sforzo per capire le sfumature delle beghe politiche che seguivo sul telegiornale. Vivevo con una famiglia nobile di Bologna. Dovevo insegnare inglese ai bambini della seconda moglie. La prima contessa, che era morta per un incidente a cavallo, aveva avuto due figli che avevano più o meno la mia età e frequentavano ancora l’università. Spesso la sera mi trovavo a tavola a chiacchierare con loro, dopo che i bambini piccoli erano andati a dormire.

Così una sera chiesi loro se potevano illuminarmi su una cosa che ero sicura di aver capito male riguardo agli avvenimenti politici del momento. Secondo ciò che ero riuscita ad afferrare, il governo era in mezzo ad una crisi e le varie fazioni politiche stavano facendo di tutto per risolvere le loro dispute in modo da evitare la caduta del governo e l’eventuale necessità di elezioni anticipate. Fin lì ciò che avevo capito mi sembrava logico e comprensibile. Ciò che mi era meno comprensibile era il fatto che nonostante stessero usando ogni mezzo per mettersi d’accordo, tutti i partiti speravano che i loro sforzi sarebbero falliti. Quando confessai ai miei ospiti in modo imbarazzato ciò che avevo certamente frainteso, loro invece mi risposero, “No, Giovanna. Sei bravissima. Sei appena arrivata in Italia. È da pochi mesi che parli l’italiano e già hai capito tutto”. Veramente non capivo un accidente, ma loro non mi offrirono ulteriore spiegazione sull’incongruenza.

Così, anni dopo, la prima volta che scrissi un articolo cercando di spiegare la politica italiana ai miei compatrioti, citai Giuseppe Tomasi di Lampedusa Principe Tancredi ed il suo sempre attualissimo, “Bisogna che tutto cambi affinché tutto resti com’è”, per far capire agli americani come il sistema proporzionale permetteva tante crisi, che in realtà erano un gioco politico simile al nostro gioco per bambini di “musical chairs”. In Italia, però, quando la musica della crisi finiva, c’erano sempre tutti quelli di prima, solo le loro poltrone erano cambiate. E dopo che Tangentopoli fece della parola “partito” una lebbra da tenere alla larga, descrisse il nuovo mondo politico con tutto il suo nuovo lessico botanico con i suoi ulivi, quercia, e ramoscelli vari. È stata una recente serata con l’auto-ironico Giulio Andreotti all’Unione Industriale a Torino a rievocare tutti questi miei primi ricordi della prima repubblica italiana. Tanto per cominciare il senatore a vita ci informò che lui rifiuta l’esistenza di una seconda repubblica e lo posso capire. Uno che a 27 anni fu il membro più giovane dell’assemblea costituente che scrisse la costituzione saprà bene che senza una nuova costituzione (cosa che gli elettori italiani richiesero con un referendum oramai ben dieci anni fa), la repubblica è sempre quella. Certo che un incontro con Andreotti, non è da perdere, non solo perché è il personaggio che è, ma perché, che uno condivida o no ciò che dice, ogni suo aneddoto è un pezzo di storia raccontato spesso con un “dry humor” quasi britannico, quindi non solo si viene informati da un vero insider, ma ci si diverte anche!

Come un lontano episodio che raccontò di un collega che lo chiamò e gli disse “Andiamo fino a Piazza della Colonna che prendono a mazzate i deputati”. E spiegandoci che le mazzate di allora non erano da confondersi con le mazzette d’oggi lui rispose: “Veramente a me sembra sia una buona ragione per restare qui dentro”. Si lamentò della demonizzazione dei partiti causata da Tangentopoli e del seguente fiorire di una nuova “botanica” al posto dei partiti. A proposito del nuovo sistema di votare alle elezioni politiche, già sapendo chi dovrebbe fare il premier, disse che con il Polo della Libertà, le cose sono chiare. Si sa chi è il leader. Ma disse che gli altri hanno un po’ di confusione in testa e che Rutelli non ha ancora capito che lui non è il leader, ma è stato solo mandato a sostituire uno che andava in maternità! In fine, mi fece ricordare le mie “musical chairs” quando ci disse: “Sì, è vero che ai miei tempi c’era tanta crisi, ma se ci pensate bene, c’era anche molta stabilità: dopo tutto, eravamo sempre noi!”.



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