Scuola e serietà, Ragion Politica, 14 ottobre 2005
«Oltre la riforma. La Scuola: una questione di serietà», questo il tema del convegno organizzato dal Comitato Nazionale Associazione Difesa Scuola Italiana (CNADSI) e dal Centro Pannunzio di Torino e tenutosi venerdì e sabato scorsi nell'aula magna del Liceo Classico D'Azeglio di Torino. I relatori e gli argomenti erano tanti e complementari e servivano a dare una panoramica del graduale degrado della scuola italiana. Ne cito solo alcuni. Il preside, professor Mario Perrini, ha esordito con una relazione intitolata «All'origine dei guasti: l'egualitarismo e le riforme di "rottura" del '69», nella quale ha dipinto l'assalto alle istituzioni scolastiche dell'epoca e la nascita delle aberrazioni che permangano da allora. Già nella sua introduzione il professor Pier Franco Quaglieni, presidente del Centro Pannunzio, aveva denunciato i disagi, le difficoltà e i pericoli per chi non si conformava ai dettami del movimento studentesco. Il professor Manfredo Anzini, presidente del CNADSI, ha narrato i trent'anni dei decreti delegati e il disastro annunciato degli organi collegiali. Lo storico Aldo Mola ha illustrato il degrado culturale ed educativo della scuola italiana. Il professor Giovanni Ramella, vicepresidente del Centro Pannunzio ed ex preside del D'Azeglio, ha presentato una panoramica storica «Dalla maturità all'esame di Stato», spiegando la sua nascita come fattore di coesione per la nazione e commentando i cambiamenti nel bene e nel male, soprattutto, purtroppo, nel male.
Renato Uglione, vicepresidente nazionale dell'Associazione Italiana per la Cultura Classica, ha dimostrato quanto il liceo classico sia importante come veicolo delle nostre radici culturali e come strumento per capire quanto siano eccezionali e precari i diritti che diamo per scontati oggi: «Non è sempre stato così, non è dappertutto così, e non è detto che sarà sempre così». Il preside Giuseppe Fabbri, vicepresidente del CNASDI, nella sua relazione intitolata «Il quotidiano a scuola? No, Grazie!» se l'è presa non tanto col quotidiano in sé, ma con tutte le attività di contorno: teatro, cinema, i vari progetti inseriti nel famigerato POF, il Piano dell'Offerta Formativa, che servono spesso come scusa per chi non vuole o non sa insegnare. Talmente predominano queste attività alternative nelle nostre scuole che l'insegnamento sta diventando un optional: «Più sono creativi i POF, meno stanno venendo incontro al loro lavoro gli insegnanti.»
L'unica nota fortemente stonata era quella del preside professor Gaetano Leo. La sua relazione si intitolava «Un 68 che non finisce mai», titolo che dava a sottintendere un «purtroppo». Invece, evidentemente lui intendeva «meno male»! E si è capito subito l'inganno. Ha esordito dicendo che bisognerebbe smettere di parlare e preoccuparsi tanto dell'ideologizzazione nella scuola. Ciò che importa, secondo lui, è la formazione degli studenti. Non si capisce, però, come si fa a separare le due cose. Quando i professori ideologizzati applicano la loro ideologia nella scelta di un libro di testo da usare, nel preferire un autore piuttosto che un altro, un periodo storico e non un altro, o quali argomenti trattare, quando un insegnante di matematica sceglie di leggere in classe un articolo di Gino Strada, si va ben oltre quello che si intende per «libertà di insegnamento». Questo è indottrinamento, a volte duro e puro, a volte subdolo. In ogni modo, non c'è dubbio che nuoce alla «formazione» degli studenti offrendo loro una cultura faziosa.
Purtroppo la partecipazione al convegno è stata davvero scarsa. Si vede che la parola «serietà» spaventa, ed è un triste specchio della nostra società, perché la scuola è dove si formano i cittadini della società di domani. Se si annuncia un incontro militante e politicante contro la riforma di nome Moratti, non solo si riempiono le aule, traboccano le piazze. Ma se si propone di parlare pacatamente dei problemi reali della scuola in modo costruttivo, non interessa a nessuno.
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