Italian Perspectives                                         
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 61 del 21-03-2006

Il più grande errore di Berlusconi è dare ascolto chi gli consiglia di essere troppo ligio alle regole

Ritorna il leader che fa sognare l’Italia

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Lo confesso. Dopo l’incontro fra Prodi e Berlusconi, pensavo che Berlusconi avesse fatto male a non tenersi alle regole dei tempi ristrettissimi obbligando così Mimun ad interrompere la fine di ogni sua risposta. Che avesse fatto male ad usare quel poco tempo per lamentarsi delle regole medesime.

Ho avuto questo mio giudizio confermato, poi, quando ho sentito le risposte di Giulio Tremonti al convegno della Confindustria a Vicenza sabato scorso. Ogni sua risposta era tecnicamente perfetta e terminava molto prima dei tre minuti e mezzo consentiti, accumulando così un credito di tempo che ha permesso un secondo round di domande. Credito che non ha consumato, perché è arrivato poi, a sorpresa, un Berlusconi scatenato. E dopo il suo discorso di fuoco e furia, e fatti, ho capito che mi ero sbagliata, come hanno sbagliato tutti coloro che in questi anni hanno preteso di incatenarlo, soggiogarlo, addomesticarlo. Forse l’unico vero errore di cui si può incolparlo è proprio quello di aver ascoltato coloro che gli consigliavano le catene.

Conobbi Silvio Berlusconi durante gli anni Ottanta quando facevamo mestieri diversi da quelli attuali. Eravamo “colleghi” nel senso che lavoravamo entrambi nel campo pubblicitario, prima di lasciare il settore privato per quello pubblico. Lui, donchisciottescamente, per salvare l’Italia dalle tenaglie dei non proprio “post” comunisti, io per combattere analoghi mulini a vento nella scuola pubblica.

La prima volta che lo vidi di persona fu quando venne a Torino per presentare il palinsesto delle sue reti al Castello di Rivoli. Mi ricordo di avere incrociato lo sguardo di uno dei miei soci più volte durante il suo discorso. E quando finì di parlare gli dissi: “Peccato che i nostri politici non apprendano da lui ad esprimersi con questa straordinaria chiarezza”. E lui mi rispose: “Mi hai tolto le parole di bocca.”

La seconda volta che lo vidi fu al Castello di Stupinigi, sempre per la presentazione dei palinsesti. Questa volta non era solo il suo modo di parlare che mi aveva impressionato, ma anche il contenuto. Fece un discorso in cui elencava i problemi della burocrazia barocca dell’Italia che lega le mani e i piedi all’imprenditoria italiana, e proponeva delle soluzioni rapide e radicali. Dopo il suo discorso, dissi al mio socio: “Magari si candidasse lui! Se riuscisse a mandare avanti l’Italia come fa con le sue imprese, l'Italia sarebbe la prima economia mondiale!”

La mia previsione avvenne solo a metà. Lui entrò in politica però non gli fu possibile condurre il Paese come se fosse una sua azienda, e la colpa è proprio di quella catena di compromessi nella quale si è imprigionato. All’inizio del suo mandato, appena si è capito che l’opposizione avrebbe fatto solo dell’ostruzionismo, appena fu evidente che persino i suoi alleati avrebbero usato la loro leva per sminuire e diluire il suo programma, avrebbe dovuto rischiare come sa rischiare solo un imprenditore.

Avrebbe dovuto pretendere mezz’ora di prime-time su reti unificate per dire: “C’è una congiura trasversale per fare in modo che io non possa rispettare l’impegno che avevo preso con voi, non mi resta altro che consegnare le mie dimissioni e lasciare che si vada a elezioni anticipate. Ma mi raccomando, se ci tenete quanto ci tengo io a quel contratto, date il voto a me e non ai miei alleati.” Queste parole le dice adesso, ma avrebbe dovuto dirle allora. Sabato scorso ha rotto le briglie, dimostrando di essere quel cavallo “matto” di razza, quel fuoriclasse che ci aveva fatto sognare. Forza, Silvio, scatenati e facci sognare ancora!


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