Italian Perspectives                                             
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Referendum e rappresentanza   (Luglio 2003)

Fatta la legge, trovato l’inganno.  In questo caso l’inganno sarebbe stato l’ennesimo referendum.  Dopo il fallito tentativo di estendere l’articolo 18 a tutte le categorie di lavoratori e mentre alcuni discutevano se non sarebbe stato utile rivedere i meccanismi del referendum innalzando il numero di firme necessarie perché un referendum si faccia considerando il quorum non raggiunto, altri proponevano uno nuovo per chiedere l’abrogazione di una legge appena fatta, il Lodo Maccanico.

Mi sono sempre chiesta come mai gli italiani ricorrono continuamente all’uso del referendum per cambiare ed abrogare le leggi, anziché lasciare questi compiti al parlamento.  La risposta mi pare evidente:  non si sentono rappresentati dai loro rappresentanti.  E non c’è da meravigliarsi.  Tangentopoli avrà abolito la parola “partito”, ma non le predilezioni per i vizi della partitocrazia.  Tranne qualche eccezione, non sono gli eletti locali ad essere mandati a Roma a rappresentare le esigenze ed i desideri dei loro elettori, ma il contrario.  Sono i partiti “non partiti” che decidono dove mandare i membri dei loro ranghi.

Dieci anni fa gli italiani hanno partecipato con grandissimo entusiasmo ad un referendum con il quale hanno espresso il loro desiderio di cambiare radicalmente il sistema elettorale, cambiamento che hanno visto solo per metà:  Volevano un sistema bi-partitico e ne hanno avuto uno bi-polare.  Hanno chiesto il sistema maggioritario e l’hanno avuto per solo tre quarti e si parla di fare passi indietro.  Hanno reclamato il voto diretto per l’esecutivo e l’hanno avuto per quanto riguarda i sindaci, per il premier solo dalla parte del Polo, e del Presidente della Repubblica neppure più se ne parla.  Però ciò che avevano detto col voto in quel referendum era essenzialmente che volevano una democrazia autenticamente rappresentativa.  Volevano dare il loro voto a persone con nome e cognome dando loro la delega di occuparsi dei loro diritti in modo che loro potessero occuparsi delle loro vite, dei loro affari, delle loro famiglie, dei loro piaceri.  E se quella persona non produceva i risultati desiderati o promessi, via, si da il voto ad un’altra.

Sono passati dieci anni e ancora si ricorre, invece, alla democrazia diretta, che per carità va benissimo per un paesino fuori Boston nel New England, da dove vengo io, dove tutti gli abitanti si riunivano alla Town Hall per decidere se mettere un secondo semaforo.  Ma non si può mandare avanti un intero Paese facendo domande serie che riguardano la flessibilità o la rigidità del mercato del lavoro ad un popolo che non può avere gli elementi per capire le implicazioni di una tale decisione, rischiando in nome di un egualitarismo ottuso di penalizzare la parte più produttiva dell’economica italiana.  E non si può ammettere che si ribaltino le decisioni di un parlamento legittimamente eletto dal popolo ricorrendo ad un referendum il cui unico scopo sarebbe stato di proseguire perennemente coi processi politici contro il nostro Premier.



Editors interested in subscribing to this syndicated column may request information by sending an e-mail to:

giogia@giogia.com                                   Ritornare alla lista