L’Opinione delle
Libertà, Edizione 188 del 07-09-2006
Le
promesse mantenute di Osama Bin
Laden
di Sandra Giovanna Giacomazzi
Ci stiamo avvicinando al quinto
anniversario del
famigerato undici settembre e ogni network del mondo sta mandando in
onda il
proprio resoconto del significato di quella data: come il mondo sia
cambiato da
allora, riassunti fatti con materiale autentico, teorie complottistiche
di ogni
genere e biografie dell’autore di quel disastro, Osama Bin Laden. La
Cnn ha
scelto quest’ultima opzione, uno speciale di due ore intitolato “In the
footsteps of Osama Bin Laden” o “Nelle orme di Osama Bin Laden”
tracciando la
trasformazione di un ragazzo piuttosto timido nell’uomo più
ricercato del
mondo. Una delle tante cose che impressionano nel guardare il filmato
è come
ogni attentato di cui lui è direttamente responsabile sia stato
annunciato anzitempo.
Osama Bin Laden non ha mai
perdonato la doppia
offesa commessa dalla famiglia reale del suo Paese, contro di lui, per
aver
rifiutato l’aiuto della sua milizia, quella che aveva creato intorno a
sé
durante la guerra in Afghanistan contro l’Unione Sovietica, e contro
l’Islam,
chiedendo aiuto agli americani e permettendogli di operare sul suolo
saudita.
Nel 1995 dal suo esilio in Sudan, Osama Bin Laden scrisse una lettera
aperta a
Re Fahd criticando la famiglia reale, chiamandola corrotta e
incoraggiando una
campagna di attacchi per fare in modo che le forze americane fossero
costrette
a lasciare il Paese. La sua voce fu sentita. In novembre un’autobomba
esplose
davanti agli uffici della Guardia Nazionale in Ryad ammazzando sette
persone,
cinque delle quali americane. I responsabili furono catturati e
ammisero che
l’ispirazione per il loro atto fu la lettera di Osama Bin Laden.
Nel 1996 con i governi dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti sulle
sue
tracce, Bin Laden fu costretto a fuggire in Afghanistan dove, a
Jalalabad,
dichiarò la guerra contro gli Stati Uniti e scelse di lanciare
la sua campagna
attraverso la CNN. Fece la dichiarazione nella sua prima intervista
televisiva
concessa a Peter Arnett. Peter Bergen, autore del libro “The Osama Bin
Laden I
know” (L’Osama Bin Laden che conosco”) era allora il produttore della
Cnn che
fu contattato e che negoziò per mesi l’intervista. Un anno dopo
con un AK-47
posato contro una mappa del mondo sul muro alle sue spalle, come se
volesse
rappresentare la sua organizzazione come mondiale, concesse un’altra
intervista
a John Miller della Abc nella quale rinnovò la sua dichiarazione
di guerra agli
Stati Uniti. Secondo Miller il piano di Bin Laden era già
preparato. Con le due
interviste ai network americani, stava semplicemente anticipando le sue
intenzioni con un po’ di pubblicità gratuita. Stava usando i
media per il suo
messaggio e per la sua immagine.
Nel mese di maggio del 1998
organizzò una
conferenza stampa nella quale dichiarò guerra non solo contro
gli Stati Uniti e
il suo governo, ma contro il popolo americano ovunque si trovasse. Nel
mese di
agosto due autobombe esplosero in due Paesi africani, Kenya e Tanzania,
colpendo due ambasciate americane. Più di duecento morti e 4000
feriti.
Inizialmente si pensava ad un attacco di Hezbollah. Ma entro 8 giorni
si scoprì
che gli attacchi furono commessi dagli uomini di Osama Bin Laden. Poi
nell’ottobre del 2000 attaccarono la nave militare, la USS Cole,
ancorata nello
Yemen. Morirono 17 marinai. Tutte promesse mantenute.
Durante l’estate del 2001 il
giornalista Baker
Atyani, che stava lavorando per la Middle East Broadcasting Company in
Pakistan
fu contatatto da al Qaeda per l’ennesima intervista presagio, questa
volta a
Kandahar. Bin Laden, poi, dovette rifiutare l’intervista perché
i suoi ospiti,
i talebani, non volevano che lui lanciasse delle dichiarazioni
incendiarie dal
loro territorio. Fece, però, un paio di dichiarazioni
telegrafiche. Disse che
entro poche settimane ci sarebbe stata una grandissima sorpresa, che i
suoi
uomini avevano intenzione di attaccare istallazioni americane e che gli
affari
delle pompe funebri avrebbero avuto un incremento negli Stati Uniti.
L’undici settembre diciannove
terroristi
eseguirono la sua promessa sul suolo americano portando con loro oltre
3000
vittime. Secondo quello che Yosri Fouda, il capo della redazione
londinese di
Al-Jazeera, apprese da un’intervista con Khalid Shaikh Mohammad,
l’intenzione
originale fu di attaccare un paio di istallazioni nucleari. Poi
decisero di
lasciar perdere un attacco simile e optarono per target simbolici, il
World
Trade Center, simbolo del potere economico, il Pentagono, simbolo del
potere
militare, e Capital Hill, simbolo della democrazia.
Secondo Peter Bergen, dopo la risposta spettacolare degli Stati Uniti
in
Afghanistan, moltissimi membri di al Qaeda si infuriarono con Bin Laden
per gli
attacchi dell’undici settembre. Ritenevano che fosse un successo
tattico, ma un
disastro strategico con l’organizzazione distrutta e i talebani in
fuga.
Persino suo figlio dichiarò che era colpa del padre se avevano
un gorilla
gigante sulle loro orme, e se ne tornò in Arabia Saudita.
Secondo Michael Scheuer, ex capo
della “Unità Bin
Laden” della Cia, il motivo per il quale Osama Bin Laden non ha ancora
commesso
un altro attacco diretto sul territorio statunitense è
perché è stato
fortemente criticato e non ha seguito la parola del profeta riguardo
alla
conduzione di un attacco ad un nemico. Prima bisogna preavvisarlo e poi
offrirgli la possibilità di convertirsi. Da allora Bin Laden ha
fatto
quest’offerta tre volte. Oramai si sente con le carte in regola per
condurre un
altro attacco, ancora più massiccio, usando armi di distruzione
di massa.
Secondo Scheuer, Bin Laden avrebbe ricevuto l’approvazione dei leader
religiosi
per un attacco nucleare che comporterebbe 10 milioni di morti. Alcuni
giorni
fa, mentre andava in onda lo speciale della CNN, al Qaida ha invitato i
non-mussulmani, specialmente coloro che vivono negli Stati Uniti, a
convertirsi
o prepararsi a pagare le conseguenze.
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