Il
decreto di Pierluigi
Bersani nasconde intenti punitivi verso le categorie coinvolte
La proletarizzazione
governativa dei taxi driver prescinde dagli interessi del
cittadino-consumatore
di Sandra Giovanna Giacomazzi
Negli
anni settanta Francesco lavorava
come impiegato alla Fiat. In quei tempi con un impiego così ci
si considerava
“sistemati”. Il posto fisso alla Fiat era quasi meglio di un impiego
statale.
Invece Francesco è stato sfortunato, vittima di uno dei primi
ridimensionamenti
della Fiat compiuto da Cesare Romiti. Con una piccola buon’uscita, un
po’ di
risparmi e un prestito dalla banca, garantito dallo stipendio della
moglie,
Francesco ha tirato su le maniche e ha comprato una licenza per aprire
un
negozio. Per qualche anno le cose sono andate abbastanza bene, ma poi
non più.
Solo che quando ha deciso di chiudere il negozio, avevano già
liberalizzato le
licenze e quindi quella che lui aveva pagato cara ormai non valeva
più niente.
Doveva di nuovo tirarsi su le maniche e inventarsi ancora una volta un
nuovo
mestiere.
Con molta fatica è riuscito ad ottenere un altro prestito e ha
comprato una
licenza per fare il tassista. Nonostante gli orari balordi, l’ernia al
disco,
le strade devastate per le preparazioni delle Olimpiadi, e il cattivo
respirare
per il gas di scarico, era contento del suo lavoro. Immaginare, quindi,
come si
sarà sentito quando il nuovo governo Prodi ha deciso di
“liberalizzare” il
mercato dei taxi, rendendo la sua licenza comprata con sudore e
sacrifici un
pezzo di carta privo di qualsiasi valore commerciale. La storia di
Francesco
può sembrare particolarmente disgraziata, ma di storie come le
sue ce ne sono
tante. Si vede che Prodi non ha un parente, un conoscente tassista e
che ormai
da anni non ne piglia più, passando dalla bici alle macchine
blu, perché se non
lo capisce di intuito, basta fare due chiacchiere con qualche tassista
per
capire che non è una categoria privilegiata da punire.
Adesso si sono messi d’accordo, ma non credo che i tanti Franceschi
possono
fare dei sogni tranquilli per il loro futuro. Il governo avrà
fatto loro delle
promesse da marinaio per traghettare l’estate per andare in vacanza
tranquilli
anche loro sapendo che i turisti non dovranno trascinare le loro
valigie a mano
dall’aeroporto all’albergo nelle nostre città d’arte. I nostri
lupi non hanno
perso né pelo né vizio. Ha ragione Francesco Forte quando
scrive che non c’è
niente di liberale nella misura di Bersani, che è una “misura di
proletarizzazione
dei taxi”, un attentato “al diritto di proprietà della piccola
impresa
personale”, un travestimento del lupo illiberale in agnello liberista
“per
carpire la buona fede di liberisti e liberali veri e ottenere il
consenso di
liberisti illiberali e falsi liberali” distruggendo così il
modello della
piccola impresa e sostituendola con la “massificazione”.
Infatti, leggendo i tanti editoriali sull’argomento, molti liberali ci
sono
cascati. Persino Antonio Polito cerca di convincerci della “portata
rivoluzionaria”
del decreto di Bersani che avrebbe a cuore il “cittadino-consumatore”.
Dobbiamo
confessare che ci convincevano di più i suoi editoriali da
direttore del
“Riformista” che quelli da parlamentare.
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