Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 24 del 05-02-2008

Questa sera, per la prima volta nella storia degli Usa, 24 stati andranno a votare alle primarie

E tutti lo chiamavano “Supertuesday”

 di Sandra Giovanna Giacomazzi

Oggi per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, 24 stati “coast to coast” andranno a votare in primarie quasi nazionali. I “pundits” hanno battezzato la giornata in mille modi indicativi di quanto sia inedita la magnitudine dell’evento. Così ciò che veniva denominato “Super Tuesday” quest’anno è chiamata: “Super Duper Tuesday”, “Giga Tuesday”, “Mega Giga Tuesday” e addirittura “Tsunami Tuesday”. Oggi sono in ballo 1,681 delegati per i Democratici fra i 2,025 necessari per aver la nomina del partito. Per i Repubblicani, invece, si giocano 1,020 fra i 1,191 necessari per diventare il candidato prescelto. Messa insieme agli altri sette stati che hanno già votato, alla fine della giornata avranno votato il 60% dell’elettorato.

Il termine “Super Tuesday” riferito alle elezioni presidenziali si usa almeno dal 1984 come la data o le date in cui si svolgono le primarie nel maggior numero degli stati. La data e gli stati che partecipano al Super Tuesday variano ogni volta. Nel 1984 c’erano addirittura tre “Super Tuesdays”. Fino a quest’anno si è sempre svolto all’inizio di marzo. Il “Super Tuesday” più “super”, fino a quello di oggi, fu nel 2000 quando 16 stati hanno votato insieme. Storicamente una vittoria convincente nella giornata di “Super Tuesday” ha spinto i candidati ad ottenere la nomina del loro partito e, in teoria, alla fine della prossima nottata un chiaro “front-runner” per entrambi i partiti potrebbe emergere. Ma quest’anno non è un anno come gli altri anni.

Quali stati, dunque, potrebbero andare a quali candidati? Per i democratici, il conteggio è molto complicato perché i delegati sono distribuiti proporzionalmente. Hillary Clinton ha focalizzato le sue energie nello stato di New York, dove è senatrice, negli stati adiacenti di New Jersey e Connecticut, nell’Arkansas dove ha vissuto come First Lady di quello stato prima di diventare First Lady del Paese, e in California dove è molto popolare, in particolar modo fra il popolo latino. Questi 5 stati rappresentano il 40% dei delegati Democratici disponibili oggi. Tuttavia, il suo oppositore, Barack Obama, cercherà di sottrarle alcuni distretti di quegli stati, consapevole che ogni delegato che riesce ad acchiappare è anche un delegato in meno per lei. Sta giocando forte per prendere l’Illinois, il suo stato adottivo, che lui rappresenta a Washington, ma è anche lo stato nativo di Hillary. Spera anche di vincere bene negli stati del Sud dove c’è una forte presenza di elettori neri.

Per i Repubblicani la regola “winner takes all” rende tutto più semplice, salvo nella California dove i delegati sono assegnati distretto per distretto. McCain sta cavalcando la vittoria della Florida e i tanti “endorsement” che gli sono arrivati in seguito. Conta, naturalmente, sull’appoggio del suo stato, l’Arizona, e spera, con l’appoggio del governatore Arnold Schwarznegger, di aver buoni risultati in California. Ma sapendo che i Repubblicani tradizionali dubitano del suo conservatorismo, spera di attirare voti da stati, come quelli nel Nordest, che apprezzano un conservatore moderato. Mitt Romney ha appena vinto i caucuses nel Maine il weekend scorso con il 52% dei voti, mentre McCain ha preso soli il 21% nonostante gli endorsement che aveva ottenuto dai due senatori di quello stato. Adesso Romney sta puntando sugli stati più conservatori dove, però, deve competere con Mike Huckabee più che con McCain. Huckabee è un candidato estremamente ben articolato, quando gli danno la parola. Anche se molti credono che la gara sia oramai fra McCain e Romney, non bisogna dare niente per scontato. Solo un mese fa, McCain era senza soldi, in quinta posizione e tutti prevedevano il suo ritiro. Così come tutti pensavano che Giuliani sarebbe stato il candidato repubblicano. Come dice la canzone: “It ain’t over till it’s over”, “Non è finito finché è finito”.


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