Italian Perspectives                                            
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 57 del 16-03-2006

Porti americani e società arabe, una questione di convenienza elettorale

Sul caso degli appalti il Congresso si è spaccato per ragioni di convenienza politica in vista delle prossime elezioni

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Da alcune settimane l’argomento più scottante negli Stati Uniti è quello che riguarda il controllo della gestione di alcuni porti collocati soprattutto nella costa orientale. Il problema sembrerebbe un “no brainer” ossia uno che non richiede molto cervello. Il senso comune detta che dopo l’11 settembre non è molto opportuno che i porti americani siano nelle mani di una compagnia o di un Paese arabi. La questione però non è così semplice. Infatti, raramente gli Stati Uniti hanno trovato il Congresso diviso e in modo così trasversale: repubblicani e democratici schierati pro e contro l’accordo.

Guardiamo i fatti prima dei sentimenti. Intanto la questione riguarda solo alcuni terminal di alcuni porti a New York, New Jersey, Philadelphia, Baltimora, Miami e New Orleans. Finché i terminal erano gestiti dalla compagnia britannica, The Peninsular and Oriental Steam Navigation Company, o dalla P&O, il problema non si poneva. Ma da quando Dubai Ports World ha comprato i diritti della P&O, è diventata la priorità politica numero uno.

C’è chi tira in ballo il discorso dell’opportunità di avere i porti americani in mano straniera. Al di là del fatto che la P&O era già una compagnia non americana, la gestione straniera è la regola non l’eccezione. Ci sono circa 15 porti importanti negli Stati Uniti. Ognuno ha da 3 a 12 terminal. Il totale dei terminal è circa 100. Otto sono gestiti da compagnie americane. Una dozzina dai municipi e stati locali. La gestione di circa 80 terminal è quindi in mano a compagnie straniere. Ed essendo un settore molto specializzato, non è che si possano creare delle compagnie americane da un giorno all’altro.

Il pretesto di rifiutare la concessione a Dubai Ports World riguarda soprattutto la sicurezza. Due dei dirottatori degli aerei dell’11 settembre provenivano dagli Emirati Arabi Uniti. Però è altrettanto vero che nessuno proveniva da Dubai. Per di più, né i media né la Commissione parlamentare sono stati in grado di trovare neanche un esperto di sicurezza portuale disposto a testimoniare che l’acquisto da parte della compagnia del Dubai avrebbe comportato dei rischi di sicurezza. Tutti gli analisti concordano sul fatto che il passaggio non corrisponde a nessun rischio.

Ogni aspetto della sicurezza portuale è nelle mani di agenzie federali degli Stati Uniti. La guardia costiera (U.S. Coast Guard) pattuglia i porti e controlla le navi prima degli sbarchi, l’ufficio d’immigrazione (U.S. Imigration Services) si occupa di tutto il personale a bordo, la dogana (U.S. Customs) controlla ogni container già dalla partenza dei porti stranieri e ancora nei porti nazionali al loro arrivo. Tutto ciò naturalmente rimarrebbe invariato. E non solo, ma anche gli americani che si occupano del lavoro per conto della P & O sarebbero gli stessi; i loro manager americani sarebbero gli stessi e i manager dei manager, sempre americani, sarebbero anche loro le stesse persone. Solo i titolari del contratto di appalto verrebbero cambiati. Sapendo tutto ciò, è evidente che si tratta di una questione politica.

Il 75% degli americani è contro l’accordo, e i rappresentanti più sensibili ai sondaggi sono stati quelli che devono farsi rieleggere a novembre o quelli che rappresentano gli stati coinvolti. Per la Senatrice Hilary Clinton, democratica di New York, “Se l’undici settembre era la mancanza di immaginazione e Katrina la mancanza di iniziativa, questo (il contratto con Dubai Ports World, ndr) sarebbe una mancanza di giudizio”. Ma altri democratici di altissimo profilo non sono d’accordo con lei: suo marito, l’ex presidente degli Stati Uniti; Joe Lieberman, senatore del Connecticut, ex candidato alla vicepresidenza con Al Gore, e John Edwards, senatore del North Carolina, ex candidato alla vicepresidenza con John Kerry, hanno fatto del loro meglio per difendere il contratto a favore della Dubai Ports World.

Il repubblicano, Tom Delay, rappresentante del Texas, ex leader della maggioranza nella House, ha definito l’appoggio del Presidente Bush per l’affare Dubai “oltraggioso”. Ma due repubblicani di altrettanto alto profilo, John Warner, senatore della Virginia e John McCain, senatore dell’Arizona, non sono d’accordo.

Dissentono per lo stesso motivo di Bill Clinton, John Edwards e Joe Liebermann. Quel motivo è strategico. Il Dubai è un alleato degli Stati Uniti, non solo nella guerra contro il terrorismo, ma in generale in quella regione del mondo. Permette l’accesso ai suoi porti a circa 56 navi da guerra degli Stati Uniti, a 590 navi da commando militare e a 75 navi da guerra di altri stati alleati. L’amicizia è così forte che non ha nemmeno aspettato il risultato della commissione parlamentare: ha deciso di ritirarsi dall’affare o almeno dalla parte che riguarda la gestione dei porti negli Stati Uniti. Così ha anche salvato dall’imbarazzo il Presidente Bush, che aveva promesso di mettere un veto ad ogni iniziativa del parlamento a porre un fine all’affare.


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