L’Opinione delle
Libertà, Edizione 123 del 08-06-2006
Ecco che cosa hanno in comune i
consigli di classe e l’elezione del presidente
delle Repubblica
di Sandra Giovanna Giacomazzi
Quest’anno,
come ogni inizio e fine anno
scolastico, tocca agli insegnanti delle scuole pubbliche sopportare un
tour di
force di collegi docenti riguardo al “Pof”. Tre collegi docenti ad
ottobre
della durata di due ore ciascuno: il primo per sentire i progetti
proposti, il
secondo per approvarli, il terzo per l’approvazione finale a collegio
unificato. E altri tre a maggio/giugno: per riferire i progetti
realizzati e
non realizzati e rifare i conti, il secondo per approvare il conto
aggiustato e
il terzo per l’approvazione finale di nuovo a collegio unificato.
Dodici ore di
tortura annuale.
Per
coloro che sono così beati a non sapere
neanche che cosa sia il Pof, il cui nome abbreviato è effimero
quanto il suo
nome per esteso, Piano dell’offerta formativa è pretenzioso,
sono i progetti
extra-curriculari organizzati dai professori e dagli educatori. Non so
se il
vero scopo del Pof sia allargare le attività extrascolastiche o
arrotondare gli
stipendi degli insegnanti, ma direi piuttosto il secondo a giudicare
dallo
spettacolo poco edificante della spartizione del bottino dei fondi
messi a
disposizione. Per carità molti dei progetti offerti e realizzati
sono
validissimi dal punto di vista formativo. Ma ce ne sono anche tanti di
dubbio
valore.
Quello
che dà fastidio è anche il fatto che molti
progetti sono realizzati durante l’orario del lavoro dell’insegnante,
il che
vuol dire che quell’insegnante sarà assente dalle ore di lezioni
con le classi
non coinvolte nel progetto, che queste ore dovranno essere coperte da
altri
colleghi e quindi l’insegnante riceve una specie di doppia paga.
Specialmente
quando si sa che ci sono altri insegnanti che organizzano
attività fuori
dall’orario scolastico e senza chiedere una lira a nessuno. Mi viene il
sospetto che chi fa tanti progetti li faccia anche perché non sa
insegnare, e
così ha una scusa per portare i ragazzi a spasso dove saranno
esterni ad
istruirli.
Quando
mi sono lamentata con una collega,
anche lei di cultura d’origine anglosassone, di tutta questa perdita di
tempo per
discutere e ridiscutere su quello che si sarebbe fatto, quello che si
è fatto e
quello che non si è riuscito a fare, e che almeno chi non
pretendeva una parte
del gruzzolo dovrebbe essere esonerato da un tale tormento, lei mi ha
risposto:
“Ah, yes, it’s the quack culture!” “Quack” vuol dire fare qua qua come
i
paperi. E’ proprio vero! E qualcosa che permea tutta la società
italiana. Se si
facesse di più e si “quaquasse” di meno, chissà quale
potenza sarebbe l’Italia!
Si fa qua qua per giorni di fila per eleggere i capigruppi, per
eleggere i
presidenti delle Camere, per eleggere il presidente della Repubblica,
per
eleggere i presidenti delle Commissioni. Sono persino decenni che si fa
tanto
qua qua intorno ad una riforma costituzionale seria e ancora non
sappiamo se
passerà il sì o il no o quale riforma sarà.
Editors interested in subscribing to this syndicated column may request information by sending an e-mail to:
giogia@giogia.com Ritornare alla lista