Peres: l'Iraq e la schizofrenia della sinistra (L'Opinione, 7 novembre 2002)
Fino all’ultimo momento non si sapeva se l’incontro della delegazione italiana con Shimon Peres avrebbe avuto luogo come previsto. Il programma del gruppo di 70 italiani, uniti per un viaggio di solidarietà allo stato d’Israele e per dare un appoggio al suo diritto di esistere, non prevedeva la caduta del governo di Sharon, insieme ai laburisti e con Peres al Ministero degli Esteri.
Da parte nostra, il nuovo status di ex-ministro non rendeva di certo meno interessante l’incontro, e Peres non ha deluso le nostre aspettative. Lui dava per scontato che dopo alcuni giorni fittissimi d’incontri, di discorsi avremo sentiti fin troppi. Quindi dopo una brevissima introduzione di ringraziamento e riconoscenza per il gesto e il significato della nostra presenza, lo storico personaggio ha suggerito di passare subito alle nostre domande.
Lucido ed ironico, della sua speranza per un nuovo governo likud-laburisti, ha detto che non aveva nessuna. Della sua sorpresa per l’insuccesso del governo di conciliazione nazionale, ha detto che sorprendente non era tanto la caduta del governo, ma la sua stessa formazione, quasi unica nella storia ebraica. Quasi perché di precedenti c’è solo una: Adamo ed Eva. Quando Adamo scoprì che Eva era l’unica donna, ed Eva che Adamo era l’unico uomo, decisero di formare il primo governo di conciliazione nazionale e lo chiamarono Paradiso. Andò benone finché non giunse il serpente, ed il resto della storia si sa. Oggi il serpente ha nome e cognome e si chiama Yasser Arafat.
Con questa metafora a forma di battuta ha fatto ridere tutto il suo pubblico, un modo spiritoso di rivelare un’amara verità, una tragedia politica per lui ed i suoi: Peres dà ad Arafat la colpa della disfatta della sinistra israeliana. Ed in questo le sue parole erano molto conciliatorie con ciò che avevamo sentito due sere prima dalla bocca del portavoce del governo Sharon, Avi Panzer: ogni concessione ad Arafat, come il piatto d’oro, altro che d’argento, offertogli in dono a Camp David, è visto non come generosità e volontà di pace, ma come segno di debolezza.
Quando gli è stato chiesto di commentare l’atteggiamento degli europei, si è espresso profondamente deluso dal bieco moralismo della sinistra. Non si capacita del fatto che abbia deciso di agire in Kosovo contro Milosevic, ma rifiuta a tutti costi un intervento in Iraq. Come si fa a pensare che i crimini commessi da Saddam contro il proprio popolo siano meno gravi di quelli commessi da Milosevic contro il suo? Con un distinguo che dovrebbe far sì una differenza: Milosevic non aveva un arsenale di armi di distruzione di massa, né ambizione né potenzialità atomica. Come fanno le sinistre europee ad usare due pesi e due misure quando il peso del pericolo è così predominante nel caso che ci minaccia oggi? L’ex ministro ci chiede, e noi non possiamo fare altro che passare alle sinistre la sua domanda.
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