Italian Perspectives                                 
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Quale firma per quale pace? (Sull’Opinione, 27 febbraio 2003)

Meglio un foglio in bianco che “Iraq Libero”.  Parto da un post script sull’autogestione per raccontarvi un episodio svoltosi nella mia scuola che mi ha lasciato con non poco amaro in bocca.  Oltre a raccogliere firme per strada contro la Moratti durante l’ultimo giorno dell’occupazione, firme che venivano depositate su lettere non lette, né dai passanti, né dagli studenti che chiedevano le firme, c’è stata un’altra raccolta firme per la Via Garibaldi: per la cosiddetta Pace.  Molti dei miei studenti erano lì e mi fermavano chiedendo anche la mia firma.  Ma il foglio che mi presentavano era in bianco.  Non c’era nessun scritto, solo tante firme d’ altre persone.  Io, naturalmente, non ho firmato e ho spiegato loro che, in primo luogo è scorretto richiedere una firma su un foglio in bianco, e in secondo luogo è, come minimo, imprudente depositare la propria firma su un foglio dove non c’è scritto niente.  Poi gli ho spiegato perché non avrei comunque firmato per una “pace” qualsiasi.  Che bisognava proporre alternative accettabili alla guerra, e che la pace generica era una resa ai tiranni, non una proposta alternativa.

È uscita proprio in quei giorni la proposta di Pannella per un “Iraq Libero”, e ho pensato:  Quale modo migliore di dimostrare concretamente ai miei studenti che cosa intendevo come proposta alternativa?  Ho fotocopiato la proposta di Pannella e ho preparato una scheda per ciascuna delle mie 10 classi.  Ho fatto in tempo a spiegare e lasciare la proposta solo a tre e il giorno dopo sono stata convocata dal Preside.  Mi ha fatto una lunga premessa su quanto apprezzava il mio impegno nella scuola, e quanto fosse riconoscente per il modo in cui ho collaborato coi ragazzi durante la loro autogestione.  Poi mi ha fatto vedere i fogli che avevo lasciato in classe e mi ha detto che c’erano dei colleghi che si sono lamentati dicendo che, se io facevo raccolta firme per questo progetto, loro avrebbero controbattuto con la loro propria raccolta firme.  Mi ha detto che potevo discutere di questa proposta in classe, indirizzare i miei studenti al sito per firmare, ma mi ha chiesto, per il quieto vivere e per evitare di fare la guerra interna fra colleghi, di per favore desistere dalla raccolta firme.

Il Preside è stato troppo gentile e diplomatico perché potessi offendermi per questa sua richiesta.  Ma sono uscita dal suo ufficio triste ed amareggiata.  Non solo per il contenuto della proposta già importante, ma anche perché a me era sembrata un’occasione educativa da non perdere.  Non capivo che cosa potesse essere non gradita dai miei colleghi.  La proposta chiede l’esilio di Saddam Hussein e l’instaurazione di un governo democratico sotto gli auspici delle Nazioni Unite.  Era già stata firmata da innumerevoli esponenti del centrodestra e del centrosinistra.  Addirittura si parlava di votarla nel Parlamento e di proporla come proposta del Governo Italiano al Consiglio di Sicurezza.  Se fosse successo così, gli studenti avrebbero potuto sentirsi protagonista dell’avvenimento. Avevo già fatta una raccolta firme fra i miei studenti per la campagna di Aldo Forbice su Zapping per salvare Amina, la ragazza nigeriana condannata a morte per lapidazione per aver concepito un figlio fuori del matrimonio.

Ho telefonato ad un amico esperto di politica e di scuola e mi ha spiegato che potevo fare la raccolta firme per Amina perché era una questione civile che riguardava i diritti umani.  Ma non potevo farla per Iraq, perché, essendo una proposta di Pannella, era considerata una proposta politica.  Anche se fosse stata una proposta avanzata da tutti i partiti politici senza eccezione, lo stesso, non potevo farlo perché considerata una cosa politica.

Sono arrivata alla conclusione che io avevo torto in buona fede e i miei colleghi avevano ragione in mala fede.  E essendo loro in mala fede, l’hanno proiettata su di me.  Lo stesso amico mi ha spiegato che avranno pensato che vedendo chi firma e chi non firma, io avrei potuto essere discriminante con i miei studenti al momento di dargli un voto. Sono rimasta esterrefatta da quest’ipotesi.  Chiamala inguaribile ingenuità, ma la mia buona fede è talmente profonda che non ci sarei mai arrivata da sola a pensare un’obiezione simile.  E i miei studenti oramai neanche.  Sanno che nella mia classe viene praticata la meritocrazia:  Chi sa ciò che ho insegnato, prende un bel voto.  Chi no, no.  È vero, mi ricordo l’anno scorso la faccia sbalordita di un ragazzo che si era scontrato fortemente con me per questione di idee diverse quando gli ho dato un bel voto.  Come mi ricordo anche la faccia di quello deluso quando pensava di campare di rendita per simpatia e per sintonia di pensiero, e così non ha studiato e ha avuto quello che si meritava.  È vero, ho sentito tanti raccontare di come negli anni settanta se volevi passare un esame all’università, dovevi metterti “Il Manifesto” sotto braccio.  Trent’anni dopo ragionano ancora così.  È una malattia dalla quale evidentemente non si guarisce.  Farà parte della loro impronta genetica.  E essendo una parte così integrante della loro natura, proiettano sugli altri la propria malattia come da manuale base di psicologia.



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