L’Opinione delle
Libertà, Edizione 96, 9 maggio 2009
Il commesso
salvavista
di Sandra
Giovanna Giacomazzi
Sebbene
il
trattamento con iniezioni intraoculari di farmaci antiangiogenetici per
bloccare la neovascolarizzazione sia diventato standard per i pazienti
con la
degenerazione maculare normale e anche per quelli con la patologia rara
Pseudoxantoma Elastico, personalmente, riscontrai difficoltà
enormi per farmi
trattare. Che nessuno avesse suggerito
questa terapia nel 2005 era normale.
Eravamo appena agli inizi di quest’utilizzo “off label”, o fuori
indicazione di un farmaco creato per combattere il cancro al colon. Ma fui insistente. In
seguito al calo di vista drammatico e repentino del 2005, per
due anni vidi almeno una decina d’oculisti che mi dicevano tutti la
stessa
cosa: benché l’OCT (Optical Coherence Tomography)
evidenziasse importanti tasche di edema fra gli strati della
retina, visto che la FAG (florangiografia) non rivelava una
neovascolarizzazione
in corso, non ritenevano utile intervenire.
Nell’estate del
2007 mi trovai ad Atlanta, Georgia, negli Stati Uniti e decisi di
vedere gli
specialisti dell’Emory University Clinic, i quali mi dissero che con un
OCT
simile, loro sarebbero intervenuti. Mi
proposero di fare un’altra OCT per vedere lo stato attuale prima di
decidere il
da farsi, ma l’edema non c’era più. Si
era riassorbito e quindi non c’era più motivo di intervenire. Tuttavia, rimasi accecata dalla
cicatrizzazione, cosa che sarebbe stata evitata con un intervento
tempestivo. Ritornai in Italia dove ogni
tanto mi
sottoponevo ad altre OCT e dove ricomparivano accumuli di edema. Ciononostante nessuno degli oculisti che
vedevo erano disposti ad intervenire senza una florangiografia
confermante.
Poi
un giorno
andai alla FNAC, dove, con un povero commesso che mi ascoltò con
tanta
pazienza, mi lamentai della morte della vecchia tecnologia degli
schermi a
matrice attiva per i computer portatili, illuminati pixel per pixel,
che erano
molto meno fastidiosi dei nuovi schermi LCD con un'unica fonte di
retroilluminazione che “mi uccidono gli occhi”. Dopo
avermi ascoltato, il commesso mi confermò che effettivamente
quella tecnologia era molto migliore, ma, che, per avere un fastidio
come
quello di cui mi stavo lamentando, dovevo avere un problema di retina.
Inizialmente rifiutai il suo discorso e continuai a recitare la mia
diatriba
contro i nuovi schermi. Ma anche lui
era implacabile nel suo consigliarmi di vedere un retinologo. Finalmente mi arresi ammettendo la mia
patologia, dichiarando di aver già visto un esercito di
retinologi e
chiedendogli come mai un venditore di apparecchi elettronici se ne
intendesse
tanto di retine! Rispose di essere
stato ferito gravemente durante il servizio militare 15 anni prima e mi
offrì
il nome e il numero di telefono dell’unico oculista a Torino che era
stato in
grado di salvargli la vista. Ne avevo
già visti tanti, perché non vedere anche questo?
La
prossima volta
vi racconterò come andò a finire con questo nuovo medico. Nel frattempo, se non avete ancora destinato
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