di Sandra Giovanna Giacomazzi
Qualche mese fa
una amica mi consigliò di smettere di dedicare tempo ed energie
alla raccolta
di fondi per la ricerca sulla mia patologia rara, Pseudxanthoma
Elastico, e di
dedicarmi a me stessa. A parte che fare
l’uno è anche fare l’altro visto che senza uno sbocco importante
in tempi
brevi, la mia vista e forse anche la mia vita sono spacciate, la sua
constatazione mi aveva profondamente turbata.
Essendo lei e il suo marito fra le persone più ricche che
io conosco, e
poiché i ricchi spesso frequentano altri ricchi, avrebbero
potuto essere il
catalizzatore di un concatenarsi di donazioni sostanziose.
Quando cercai di persuaderla della serietà
di PXE International, ricordandole che i fondatori sono due genitori di
due
figli con PXE che hanno tutto l’interesse in un buon esito della
ricerca, lei
rammentò ciò che io stessa avevo scritto, che quando i
coniugi Terry scoprirono
di aver trasmesso una patologia così devastante ai loro figli,
abbandonarono
entrambi i propri lavori per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca di
una
cura. Il suo ragionamento: poiché
la
malattia non insorge fino alla media età, che fretta avevano se
con ciò si
trovarono anche senza lavoro? Il
cinismo della sua osservazione mi lasciò disarmata.
Non la consideravo una persona cinica e quindi se così la
pensava
lei, così avranno pensato in tanti, e forse, quindi, aveva
ragione lei:
tutti i miei sforzi sono stati inutile,
almeno in Italia.
Decisi di
rivolgere la domanda a Sharon Terry in persona, recandomi a Budapest
dove si
stava svolgendo un simposio di tutti i ricercatori mondiali che si
occupano di
PXE. Alla mia domanda Sharon non
esitò
neanche un secondo: “Il giorno che fondammo l’associazione 14 anni fa
dichiarammo
che il nostro obiettivo primario era quello di chiuderla avendo
raggiunto il
nostro scopo: trovare una “cura”. E
adesso che sono anche diventata presidente di Genetic Alliance (
l’organizzazione il cui scopo è di condividere tutta la ricerca
genetica) il
lavoro non mi mancherà mai!”
Al simposio
conobbi tutti i ricercatori che lavorano da anni per capire il PXE:
biologi,
biochimici, medici e genetisti. Delle
loro relazioni compresi ben poco. Il
simposio era per gli scienziati non per i pazienti, quindi si
esprimevano nel
loro linguaggio. Tuttavia, era
commovente vedere tante persone di tutto il mondo impegnati a risolvere
l’enigma del PXE. Quando io ero bambina
sapevano solo dirmi che un giorno sarei diventata cieca.
Col passare degli anni scoprirono che la
malattia era sistemica, che non era “solo” la retina ad essere colpita
ma i
tessuti elastici di tutto il corpo e in modo particolare, il sistema
cardio-vascolare e gastro-intestinale, con effetti anche fatali. Nel 2000, scoprirono il gene colpito (ABCC6)
ed erano convinti di arrivare presto ad una soluzione.
Invece, pare che il puzzle del PXE sia
particolarmente complesso. Se già
capirono che la malattia era sistemica, solo recentemente appresero che
è anche
metabolica. Nel 2008, Dr. Jounni Uitto
del Thomas Jefferson University di Philadelphia condusse un esperimento
incrociato con knock out topi (KO), topi ai quali il gene ABCC6 fu
alterato e
topi normali (WT). Sui topi KO
applicarono innesti di tessuto sano e sui topi WT innesti di tessuto
afflitto
da PXE. Dopo due mesi il tessuto sano sui topi KO diventò malato
e il tessuto
malato sui topi WT diventò sano, dimostrando che la malattia
è metabolica e che
per trovare una soluzione molto probabilmente bisognerà agire
sul fegato. I ricercatori ntuiscono che il
fegato dei
malati di PXE non riesce a metabolizzare una delle tante vitamine K
(non sanno
quale) necessarie per prevenire la mineralizzazione dei tessuti
elastici. Sono
passi da gigante, ma ancora non c’è la soluzione che
porterà un beneficio ai
pazienti. Per questo la ricerca deve
procedere sconfiggendo il cinismo insieme alla malattia.
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