Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi


L’Opinione delle Libertà, Edizione 237, 31 ottobre 2009

Il protocollo che ti condanna alla cecità

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Avere troppa ragione troppo presto e pagare il prezzo sulla propria pelle è cosa ardua da sopportare.  Da due anni vado dicendo a chiunque abbia la pazienza di ascoltarmi che i protocolli usati per la somministrazione dei farmaci anti-VEGF nei pazienti afflitti dalla degenerazione maculare sono, secondo il mio modesto parere, dettati da un controsenso flagrante.  Il mio ragionamento, non frutto di conoscenza scientifica ma di una semplice conclusione logica, è il seguente.  Se i farmaci anti-VEGF usati per trattare pazienti con la degenerazione maculare sono fatti per INIBIRE la neovascolarizzazione (emorragia retinica) è inutile somministrarli solo DOPO che una florangiografia mostri un’emorragia in corso, a maggior ragione in luce del fatto che l’85% delle emorragie sono occulte, ossia neanche appaiono su una florangiografia.  Intendiamoci, non è che io stia proponendo la somministrazione preventiva a tutti, ma a coloro che hanno già dimostrato di aver iniziato un percorso degenerativo. 

Bene.  Sono appena stati pubblicati tre trial clinici:  MARINA, ANCHOR e PIER, che confermano ciò che vado predicando da pura profana da due anni.  Nei trial clinici MARINA E ANCHOR dove la somministrazione è stata mensile, al di là della percezione di necessità, dopo due anni il 40% dei pazienti hanno avuto un “fenomenale” miglioramento del visus e il 90% non hanno subito peggioramenti.  Nel trial clinico PIER, invece, dove la somministrazione è stata mensile per i primi tre mesi e poi quadrimestrale, i pazienti hanno migliorato nei primi tre mesi e poi sono di nuovo peggiorati almeno al punto di partenza.  Un'altra conclusione riguarda la valutazione degli strumenti di analisi.  Ritengono l’OCT (Optical Coherence Tomography) preferibile alla FAG (florangiografia), non solo perché è meno invasiva (non richiede l’iniezione di un mezzo di contrasto), ma perché le presenze di edema non sono occultate come nella FAG.

L'altra settimana sono stata a Domodossola ad un convegno sulle retinopatologie organizzato dall'Associazione Piemontese Retinopatici ed Ipovedenti.  Approfittando della presenza di tanti oculisti ho chiesto se queste nuove pubblicazioni non rendevano impellente un cambiamento nei protocolli.  Mi ha risposto un primario con arie e toni saccenti così tipici della razza (salvo le eccezioni di meritevole modestia, spesso proprio quelli più competenti!) dichiarando che queste terapie non sono indicate per la mia patologia perché la causa della degenerazione è diversa in pazienti afflitti da Pseudoxantoma Elastico e che non esiste nessuna pubblicazione in merito ad un trial clinico per pazienti con PXE.  Sebbene sia vero che la causante sia diversa, l’effetto è uguale e con la sua risposta il primario in questione ha dimostrato una doppia ignoranza in materia.   Primo, tratttandosi di una patologia rarissima, non ci sono materialmente i numeri per effettuare un trial clinico.  E secondo, ignorava tutta la documentazione aneddotica sui pazienti PXE trattati con successo, purtroppo non la mia.

Senza aver partecipato a nessun trial clinico, la somministrazione nel mio caso è stata simile a quella di PIER.  E già per aver quei trattamenti ho dovuto rivolgermi al privato, spendendo in due anni quanto guadagno in uno.  Spese risultate inutili.  Seguendo i criteri espressi in questi tre studi, avrei dovuto sottopormi almeno al quadriplo dei trattamenti.  E i risultati (negativi) si vedono.  A distanza di due anni, sono passata da 8/10 ad 1/10 nell’occhio afflitto. Dovrò diventare cieca anche nell’altro occhio prima che si decida di cambiare i protocolli?


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