Italian
Perspectives
by Sandra Giovanna
Giacomazzi
L’Opinione
delle Libertà, Edizione 136, 27 giugno 2009
Un virus come veicolo del bene
di Sandra Giovanna Giacomazzi
Amaurosi congenita di Leber è una forma di retinopatia rara che
provoca la cecità già nei primi mesi di vita. Circa
un anno fa vidi un servizio televisivo riguardo ad una cura
sperimentale per questa patologia effettuata su un gruppo di giovani
pazienti italiani. La sperimentazione fu frutto della
collaborazione del Dipartimento di Oftalmologia della Seconda
Università degli Studi di Napoli che si occupò dello
screening e del follow-up dei pazienti e del Children’s Hospital di
Philadelphia che eseguì gli interventi. Si trattava di
iniettare nello spazio sottoretinico dell'occhio un vettore virale
contenente una copia corretta del gene alterato che causa la malattia.
Il gene sano, si inserì stabilmente nella retina producendo la
proteina mancante nei malati. In parole povere, il virus, prima
privato delle sue qualità nocive, fu adoperato come veicolo di
trasporto di materiale retinico sano. Lì si
comportò come un virus qualsiasi dividendosi e moltiplicandosi,
occupando le retine malate con cellule sane. In tutti i pazienti
trattati si osservano miglioramenti significativi della
funzionalità visiva e senza effetti tossici.
Quando sentii questo servizio mi venne la pelle d’oca. Se mai ci
fosse un buon Dio, era questo: la scienza che prende un veicolo
del male e lo trasforma in veicolo del bene! Appena mi ripresi
dal momento mistico mi spostai dal divano al computer dove intendevo
comunicare il fatto a tutti miei colleghi di patologia sulla mailing
list dei pazienti PXE, pseudoxantoma elastico. Naturalmente, loro
sapevano già. Erano lì da un pezzo mandandosi
messaggi, tutti gasati e eccitati dalle prospettive, pronti per partire
col prossimo volo per Philadelphia. Dopo un po’ è
intervenuta la presidente di PXE International spiegandoci che, questa
cura non era adatta alla nostra patologia. Nell’Amaurosi di Leber
si tratta di una cecità al buio e la cura porta la luce.
Nel PXE, invece, si tratta di degenerazione della macula e
dell’acuità visiva. Dal settimo cielo siamo piombati sotto
terra. Non volendo lasciarci così, cercò di
incoraggiarci con la notizia che entro dieci anni molto probabilmente
ci sarà una cura anche per noi. Una cura, che,
però, difficilmente sarà retroattiva. Il danno che
si è fatto rimarrà. Ma noi che siamo già in
caduta libera, non abbiamo 10 anni da attendere. Menre vi
scrivo, ho un nuovo “evento” di emorragia in corso che mi sta portando
via un'altra bella feta di vista. Fra 10 anni noi che stiamo già
in declino, saremo già legalmente ciechi da un
pezzo. Quindi chiesi come si poteva fare per
accelerare i tempi. Mi rispose: ho cinque proposte di
ricerca promettenti sulla mia scrivania: mancano solo i fondi per
finanziarle. Ci spiegò che solo il 10% di noi malati
facciamo delle donazioni, e che il 90% dei soldi per la ricerca
proviene da quel 10%. Da quel momento decisi che non potevo
più permettermi di vivere la mia malattia in modo privato e
discreto e mi diedi da fare per essere io un fattore catalizzante per
la raccolta di fondi per la ricerca. Nelle ultime puntate
vi racconterò le tante problematiche che riguardano la ricerca.
Nel frattempo per destinare il vostro cinque per mille: PXE-Italia
Onlus n. 91157050377. O per fare una donazione diretta: c/c
POSTALE N. 28436400 intestato a PXE ITALIA ONLUS- via Ferriera
17, 40133 BOLOGNA oppure C/C bancario IT47Q0638502411100000003820
intestato a PXE ITALIA ONLUS presso CARISBO, via Battindarno 21,
40133 BOLOGNA.Anche le somme più piccole sono apprezzate.
Messe insieme fanno la differenza. Per saperne di più:
www.pxe.org e www.pxeitalia.unimore.it. 13 continua…
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