Italian Perspectives                                                
by Sandra Giovanna Giacomazzi 


Gli americani che odiano (L'Opinione della Libertà, 10 marzo 2004)

È vero il paragone che fa Cristian Rocca fra l’odio politico italiano e quello americano.  È verissima l’asperrima ostilità che denuncia fra i democratici e i repubblicani.  Però non fu sempre così.  Anzi è un fenomeno piuttosto recente.  E purtroppo nacque in campo repubblicano e nella famiglia Bush.  Dico purtroppo perché dall’undici settembre per amor di patria, evito, se posso, di parlare male di chi dopo quella data è diventato il mio presidente. 

Nacque quando Bush padre perse il secondo mandato alla Casa Bianca contro Bill Clinton, nonostante il successone, tutto suo, della Prima Guerra del Golfo.  Insomma, essere sloggiato dalla più prestigiosa poltrona del mondo da un giovane arrivista, sapendo poi Saddam ancora in sella, provò la sua fede, come quella del suo partito, nella democrazia a colpi di maggioranze popolari.  Da quel momento e senza mai cessare per un attimo, iniziò una campagna di odio allo scopo unico di sfrattare Bill Clinton dall’Ufficio Ovale, by hook or by crook, usando ogni e qualsiasi mezzo.

Cominciarono con le accuse su una presupposta frode immobiliare, che chiamarono Whitewater.  Quando non funzionò, tentarono con presunti favoritismi per un’agenzia di viaggio che organizzava tutti gli spostamenti dello staff della Casa Bianca, che battezzarono Travelgate.  Quando anche quello fallì, inventarono Sexgate, che tutti ricordano per Monica Lewinsky, ma che ebbe origini molto più lontane e tortuose. 

Questo chiodo fisso dei repubblicani di allora non fu molto diverso da quello della sinistra italiana nei confronti di Berlusconi a cominciare dalla consegna, ad effetto teatrale, dell’avviso di garanzia al famoso vertice di Napoli.  Scrissi già nel febbraio del 2001 un articolo inedito intitolato: “Odi e Vizi paralleli:  la destra americana come la sinistra italiana”, in cui denunciavo le somiglianze che erano tante.

Presero l’abitudine gli uni e gli altri dell’uso e abuso della giustizia per motivi e fini politici. Con Clinton non riuscirono perché il nostro sistema presidenziale maggioritario richiede un lungo e laborioso procedimento di impeachment.  Berlusconi fu meno fortunato.  Il sistema parlamentare, che richiede spesso coalizioni fra più partiti, fu la causa della sua disfatta quando Bossi lo abbandonò in seguito a Napoli.  Ma da noi compirono con Gore ciò che non riuscirono ad ottenere con Clinton, facendo arrivare il loro candidato, Bush figlio, alla Casa Bianca, passando per la Corte Suprema.  Insomma, il ruolo di William Rehnquist, capo di quella corte, non fu molto diverso da quello che svolse l'ex Presidente della Repubblica italiana, Oscar Luigi Scalfaro.

Anche il modus operandi fu simile.  I persecutori di Clinton e di Berlusconi adoperarono la stessa metodologia che fu usata con Al Capone, e con il medesimo scopo: farli fuori.  Scelto il bersaglio, non importava quale capo d'imputazione si trovasse o, meglio, s’inventasse.  L'importante era la loro diffamazione, preferibilmente se ciò avrebbe provocato anche il loro allontanamento dai palazzi del potere.

Non era poi solo la “giustizia” a fungere da filo conduttore facendo strani “bedfellows” dei forsennati repubblicani americani e la sinistra giustizialista italiana.  Se Clinton e Berlusconi sono stati perseguitati dalle loro rispettive opposizioni, fu anche per l’invidia che suscitavano e che Berlusconi continua a destare.

Sono tutti e due uomini brillantissimi.  Self-made men.  Uno nel campo politico, uno come imprenditore.  Ambedue provengono da origini modeste.  Entrambi grandi comunicatori, con il sorriso sincero, di chi ama la vita, sempre pronto sulle labbra.  Uno canta, l’altro suona il sassofono.  Hanno una barzelletta perennemente pronta.  Ma non per questo sono poco seri.  Innamorati del proprio lavoro, capaci di stare svegli tutta la notte per elaborare un trattato.  Conoscitori dei fatti e dati del mondo da lasciar chiunque a bocca aperta.  Simpatici, grandi trascinatori.  Troppo perché i meschini di questo mondo non li scegliessero come bersagli.    

Nacque qui, a destra, l’odio americano.  Dopo l’elezione che ha portato Bush Junior alla Casa Bianca, l’America era spaccata in due.  C’era un clima bruttissimo.  Come in Italia, come “la grande muraglia” di Bruno Vespa, chi stava da una parte non andava più a cena con chi stava dall’altra.  Molte persone come me, che sono tantissime negli Stati Uniti, che non aderiscono a nessun partito, che sono indipendenti, che hanno votato sia per un partito sia per l’altro, che danno il loro voto non al partito, ma all’uomo o donna e agli issues che propongono, non potevano digerire quegli otto anni di persecuzioni contro Clinton seguiti dall’elezione di Bush deciso dalla Corte Suprema come ciliegia sulla torta. Mia madre, pur non essendo repubblicana, per qualche motivo sconosciuto aveva da sempre la “R” dei Repubblicani sulla sua tessera elettorale.  Non aveva, però, mai fatto niente per toglierla.  In quei giorni, la vidi alzarsi con determinazione, mettersi in macchina e recarsi all’ufficio elettorale per far togliere quella “R” e farsi mettere una “I” per Indipendente!  Ma dall’undici settembre le persone come noi hanno sepolto il rancore e hanno appoggiato il presidente del loro Paese in guerra.

Invece, l’odio di cui parla Rocca è l’odio della sinistra, dei democratici.  Ma non se lo spiega appunto guardando Kerry, il democratico che più probabilmente correrà contro Bush a novembre.  Infatti, come potrebbe Kerry odiare Bush al quale assomiglia moltissimo, sia per le sue origini, sia per i suoi programmi.  Entrambi figli di papà della East Coast, addirittura con gli studi fatti alla stessa Yale.  Kerry ha anche votato in favore di molte delle iniziative promulgate dall’amministrazione Bush.

Chi sono allora questi odiatori?  O sono i democratici di partito duri e puri che non possono perdonare quel passato recente di persecuzione.  O sono i radical-chic, proprio come in Italia!  Rocca ha descritto quelli dei buoni salotti newyorkesi.  Io conosco meglio quelli del sangue blu bostoniano.   Come l’amica che visitai l’estate scorsa, un’anziana signora di novant’anni che vive durante i mesi estivi in una casa stile Gatsby sulla costa al nord di Boston che appartiene alla sua famiglia da generazioni.  Una casa con un parco davanti e un prato e giardino dietro che arrivano fino alle rocce dell’oceano Atlantico.  Una casa che, ai tempi dei suoi genitori, aveva più personale che membri di famiglia.  I suoi erano repubblicani combattenti e la loro fortuna proveniva dal lavoro sodo del nonno e del padre nell’industria del pellame.  Lei, una snob ultra-viziata, ci raccontava della sua festa come debuttante in città, i servitori che la circondavano, i viaggi in Europa, i tempi dell’università a Smith, e il suo professore di storia che le “ha aperto gli occhi su come stavano le cose nel mondo.”  Eh, sì, anche l’America ha i suoi cattivi maestri, e già da allora!   Anche lei parla di pace e di buonismi vari, mentre tratta maluccio la signora guatemalteca che le deve fungere da dama di compagnia, donna di pulizia, cuoca e autista.  Storce il naso alla famiglia Bush dicendo, “Sai, gente che va con la barca col motore!  È più estetico un presidente che va a vela, non credi?”


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