L’Opinione delle Libertà, Edizione 284 del 16-12-2005
E l’Aiea vince il Nobel per la “pax atomica”
di Sandra Giovanna Giacomazzi
La settimana scorsa Mohamad Elbaradei e l’agenzia delle Nazioni Unite per l’energia atomica (Aiea) che lui dirige hanno ricevuto il tanto bramato premio per la pace dai signori del Nobel nella capitale norvegese. Sebbene l’agenzia, come pure le stesse Nazioni Unite, siano nate per volontà di due presidenti americani, Dwight D. Eisenhower e Franklin D. Roosevelt, l’agenzia e il suo leader si scontrano spesso e volentieri con l’attuale presidente George W. Bush per le loro posizioni diverse sul tema delle minacce nucleari di Iran e Iraq. L’amministrazione Bush aveva addirittura cercato di bloccare l’assegnazione di un terzo ed ultimo mandato di quattro anni al diplomatico egiziano. Il disaccordo fra l’Aiea e Washington si è particolarmente acceso subito prima della guerra in Iraq nel 2003 quando l’agenzia ha sfidato le dichiarazioni degli Stati Uniti riguardo alle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein.
Benché tali armi non siano mai state trovate, l’approccio diplomatico a rilento con l’Iran si sta rivelando ancora meno prudente. Lo stato fondamentalista che ha nascosto al mondo il suo programma nucleare per due decenni adesso se ne vanta pubblicamente. Proprio durante la cerimonia di ricevimento del premio per la pace, un ufficiale iraniano ha dichiarato che il suo Paese avrebbe arricchito l’uranio per produrre combustibile nucleare, nonostante lo sforzo internazionale per impedirlo. Gli accordi, già un compromesso, prevedono che sia la Russia ad arricchire l’uranio per conto degli iraniani. Gholamreza Aghazadeh, capo dell’organizzazione atomica dell’Iran, non ha detto quando avrebbero intenzione di iniziare le procedure, ma farlo sarebbe comunque una violazione degli accordi. Dopo diciotto anni di inganni, tre anni di negoziazioni, sette siti segreti non dichiarati, e la scoperta di testate con capacità nucleare, molti pensano che non potrebbe esserci più chiara evidenza delle cattive intenzioni dell’Iran.
Naturalmente Aghazadeh nega che il programma nucleare iraniano abbia scopi militari. Ma dopo le recenti dichiarazioni del suo presidente, auspicanti l’annullamento di Israele dalla carta geografica, è ragionevole dubitare della sua sincerità. Secondo Elbaradei “non possiamo giudicare le intenzioni” e quindi preferisce l’approccio “aspettiamo e vediamo”. Il problema è che le regole vigenti permettono a qualunque Paese di arrivare a tre mesi dalla costruzione di armi nucleari prima di imporre ispezioni forzate o sanzioni. Pare che questa possibilità non disturbi il sogno dei signori di Oslo.
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