Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 56 del 20-03-2008

Quinto anno di guerra

McCain visita l’Iraq, con la nuova strategia torna la speranza

 di Sandra Giovanna Giacomazzi

Mentre i due candidati Democratici si combattono su chi avesse più ragione sulla guerra in Iraq e chi sia capace di far tornare i soldati in patria il prima possibile, il candidato repubblicano e senatore dell’Arizona, John McCain, ad otto mesi dalle elezioni presidenziali, parte per il suo ottavo viaggio in Iraq a sostegno di quelle truppe e di quella decisione. Cinque anni fa, mentre gli Stati Uniti si preparavano a mandare gli aerei stealth e i missili Tomahawk a Baghdad, John McCain tenne un discorso al Senato: “Quando il popolo dell’Iraq sarà liberato, avremo di nuovo scritto un altro capitolo nella gloriosa storia degli Stati Uniti”. La liberazione dell’Iraq è diventata un capitolo molto più lungo di quanto ci si potesse aspettare, con tanta tragedia quanta gloria. Ciononostante McCain difende la decisione di invadere l’Iraq e imposta la sua campagna elettorale sulla necessità di completare la missione.

Questo non vuol dire che McCain sia stato un sostenitore acritico. Anzi. Appena un mese dopo l’abbattimento della statua di Saddam Hussein nelle strade di Baghdad, McCain aveva già cominciato ad avvertire che le cose non andavano come dovevano. “La colpa non è delle nostre forze armate, ma dei leader e della inadeguatezza dei loro programmi per le sfide del dopoguerra”. Ammetteva che la colpa fosse anche dei membri del Congresso che avevano omesso di informarsi scrupolosamente su quel programma e di insistere per migliorarlo. Cinque mesi dopo l’invasione, McCain stava già chiedendo un incremento sostanziale del numero di truppe per contrastare l’insorgenza. Le sue opinioni non erano popolari, né per il Pentagono che voleva combattere una “piccola guerra”, né per l’opinione pubblica americana, riluttante a mettere a rischio la vita dei soldati. Durante tutto il 2004 e il 2005, McCain ha continuato ad insistere sulla necessità di inviare più truppe. Non era per niente timido nel suo tentativo di sfidare l’allora segretario della Difesa, Donald Rumsfeld. “Se non riusciamo a mantenere il sostengo del popolo americano, perderemmo la guerra come se le nostre forze fossero sconfitte sul campo di battaglia”, aveva detto McCain in un incontro all’American Enterprise Institute. Di fatto, nell’estate del 2006, la maggioranza degli americani non era più a favore dell’impegno e il sostegno aveva raggiunto i livelli più bassi proprio quando si è finalmente deciso di fare il “surge” lungamente richiesto, per ben 4 anni, da McCain.

Oggi, benché la maggioranza degli americani creda che l’invasione sia stata un errore, c’è un sentimento crescente che le cose stanno migliorando. Circa la metà è convinta che le truppe debbano rimanere, mentre all’inizio del “surge”, due terzi volevano che tornassero subito a casa. Quel sentimento è basato sui fatti. Il successo del “surge” e del comando del Generale Petreus è stato confermato persino dalla United Nations High Commissioner for Human Rights, UNHCR, anche attraverso l’endorsement della loro ambasciatrice, l’attrice Angelina Jolie, pubblicato sul “New York Times”.


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