Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 33 del 16-02-2008

Primarie americane

Usa, la matematica conta più dei voti

 di Sandra Giovanna Giacomazzi

Mitt Romney, l’ex governatore del Massachussetts e candidato alla Casa Bianca fino a due settimane fa ha annunciato che darà il suo endorsement al senatore dell’Ariziona, John McCain. Con questo gesto rilascia i suoi delegati incoraggiandoli a votare per McCain. Aggiungendo i suoi 286 delegati ai 649 che ha già accumulato, a McCain restano solo 78 delegati per raggiungere i 1191 necessari alla sua nomination. Con questo si chiude la partita di Mike Huckabee che, pur privo di speranze per una nomination, sperava almeno di dar battaglia alla Convention, come si faceva una volta. Tuttavia Huckabee continua a dire che non mollerà.

Più che il numero di mani che si stringono o il numero di bambini che si baciano, i numeri che contano nella campagna per le nomine dei partiti per le elezioni presidenziali statunitensi sono quelli dei delegati. Sono coloro che, alle due “conventions” dei rispettivi partiti (per i Democratici a Denver dal 25-28 agosto, per i Repubblicani a Minneapolis-St. Paul, Minnesota dal 1-4 settembre), sceglieranno in modo collettivo chi sarà la persona nominata a concorrere per il loro partito nelle elezioni di novembre. Sono scelti stato per stato dai risultati delle votazioni nelle primarie e nei caucus. Sembra semplice ma anche per gli esperti di politica non lo è per niente.

Le regole sono fatte dai partiti e dai governi locali o statali, non da quello centrale o federale. I due partiti maggiori gestiscono la distribuzione e il conteggio dei delegati in modo diverso per motivi storici. Ma una regola è uguale per entrambi. Per vincere la nomina del partito, il candidato deve ottenere la metà del totale dei delegati nazionali. Per i Democratici il numero magico è 2,025 fra i 4,049 disponibili. Per i Repubblicani è 1191 su 2380. Anche il metodo che si usa per fare il conteggio è diverso per i due partiti. I Democratici usano il metodo proporzionale. Se ci sono 10 delegati in ballo e un candidato vince il 60% del voto, vince 6 delegati. I Repubblicani lasciano che siano gli stati a decidere ognuno per conto suo se preferiscono usare il metodo proporzionale o il “winner-take-all”, quando il candidato che vince la maggioranza relativa prende tutti i delegati. Qui si tratta dei delegati “pledged” ossia quelli che dovrebbero votare per il candidato per il quale sono stati votati. Ma la parola chiave è “dovrebbero”, perché non sono obbligati a farlo anche perché il loro candidato potrebbe essersi ritirato dalla gara nel frattempo.

Poi, giusto per rendere le cose ancora più complicate, ci sono i “super” delegati. Si tratta di persone che occupano un incarico politico per il partito o che sono presidenti o segretari dei partiti locali. Loro possono votare come vogliono. Spetta al candidato corteggiarli e convincerli che meritano il loro appoggio. Il sistema produce degli strani risultati. Un candidato può vincere nella maggioranza degli stati, ma aver molto meno delegati; dipende dalla dimensione demografica degli stati in cui vince. E quest’anno, più che in qualunque altro anno, la gara si disputa delegato per delegato. La differenza fra l’utilizzo del sistema proporzionale e quello “winner-take-all” è cruciale. Quella proporzionale sta esasperando i Democratici che vorrebbero chiarezza più in fretta. Ma il sistema “winner-take-all” è stato frustrante per i Repubblicani: avrebbero voluto vedere premiato un candidato che invece è arrivato al secondo posto per pochi voti di differenza. L’attuale stallo dei Democratici e la forza che ha avuto McCain, anche prima dell’endorsment di Romney, sono colpa o merito di due persone: l’ex sindaco di New York, Rudolf Giuliani, e il reverendo Jesse Jackson, l’afro-americano che ha concorso per la presidenza 20 anni fa.

L’anno scorso gli organizzatori della campagna di Giuliani hanno spinto perché gli stati di New York, New Jersey, Connecticut e Delaware passassero dal sistema proporzionale al “winner-take-all”. E gli stati accettarono. Così, quando Giuliani si è ritirato dalla gara e McCain ha vinto in quegli stati, i 200 delegati che avrebbero potuto essere spartiti fra tutti i candidati con le vecchie regole sono andati invece interamente a McCain. Una volta anche i Democratici adoperavano il sistema “vincitore prende tutto” . Finché Jesse Jackson vinse 11 stati venti anni fa e si accorse che con il proporzionale avrebbe vinto molto di più. Quindi spinse per un cambiamento in questo senso e il partito accettò. Quindi se la proporzionalità della gara di quest’anno è particolarmente punitiva, Obama e la Clinton hanno solo da ringraziare Jackson. C’è già chi sta mettendo in discussione la decisione del Comitato Nazionale di sottrarre i delegati della Florida e del Michigan per aver anticipato la data delle loro primarie e insistere che siano contattati.

Cosa sarà dei delegati vinti dai candidati che si sono poi ritirati? Ufficialmente, il democratico Edwards non si è ritirato ma ha solo “sospeso” la sua campagna. Questo vuol dire che può tenersi i suoi delegati fino alla Convention e poi incoraggiarli a votare per il candidato che lui deciderà di appoggiare. I Repubblicani hanno altre regole, potenzialmente 50 altre regole. Quindi, in teoria, ogni stato potrebbe decidere per conto proprio a chi assegnare i delegati, ma con l’endorsement ufficiale di Romney, l’indisciplina è improbabile.


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