Italian
Perspectives
by Sandra Giovanna
Giacomazzi
L’Opinione delle Libertà, Edizione 77 del 05-04-2007
La presentazione del nuovo libro della
Nirenstein al Circolo della Stampa di
Torino
Magari Israele
fossimo noi!
di
Sandra Giovanna Giacomazzi
“In
Israele,
negli anni della seconda Intifada, ogni giorno autisti di autobus,
camerieri,
negozianti, medici, studenti hanno afferrato i terroristi con le mani,
li hanno
buttati a terra, hanno tolto loro dalle spalle la borsa con l’esplosivo
e
salvato i passeggeri di un autobus o i clienti di un supermarket o gli
avventori di un caffè. Siamo, oggi, noi europei altrettanto
pronti a
considerare il nostro popolo più importante di noi stessi, o
della nostra
famiglia che ci aspetta? In Israele, quando chiedi a questi eroi se
hanno
pensato che avrebbero potuto morire, la risposta è una:
“Certamente? Perché, tu
che cosa avresti fatto?” Durante l’Intifada, quando a Gerusalemme
saltava per
aria un autobus al giorno, la gente seguitava a vivere la propria vita,
cinema,
scuola, supermarket compresi, anche se ogni angolo della città
era esploso e
quasi in ciascuna famiglia c’era un morto o un ferito o un caro amico
finito
vittima di un attentato.”
E’
questo il
passaggio del nuovo libro di Fiamma Nirenstein, “Israele siamo noi”,
che più ha
impressionato Luca Ricolfi, editorialista di “La Stampa”, uno dei
relatori,
insieme ad Angelo Pezzana, fondatore dell’associazione Italia-Israele e
editore
di www.informazionecorretta.com e Maurizio Belpietro, direttore di “Il
Giornale”, presenti al Circolo della Stampa a Torino insieme
all’autrice e
giornalista, appunto, per la presentazione del suo nuovo libro.
Il sociologo
torinese ha spiegato al pubblico come questo passaggio illustra
quanto Israele sia un esempio più unico che raro di una
società “durkheimiana”.
Émile Durkheim, fondatore della prima vera scuola di pensiero
sociologico,
enfatizzava i fatti sociali come realtà indipendente, distinti
dagli attribuiti
psicologici degli individui, cercando poi di scoprire
l’interconnessione fra di
loro anche attraverso studi intensivi di società primitive,
simili agli studi
condotti in seguito dagli antropologi sociali. Durkheim credeva che gli
individui sono il prodotto di forze sociali molto complesse e che non
possono
essere considerati al di fuori del contesto della società nella
quale vivono.
Per Durkheim la coscienza collettiva è qualcosa di totalmente
separato dalle
coscienze individuali di cui è composta. Nella società
durkheimiana la
coscienza collettiva prevale sugli interessi privati degli individui.
Quelle
malate, invece, sono infette da “anomie”, ossia instabilità
sociale causato
dall’erosione o l’abbandono dei valori, della morale, dei codici
sociali.
Nel suo libro
Fiamma Nirenstein descrive una società, quella israeliana,
costretta a vivere
dalla sua nascita in una condizione costante di guerra, “una guerra in
cui il
nemico mira ai civili per colpirne il maggior numero possibile” e che “
invece
di cercare la salvezza per la propria popolazione civile, ne fa uno
scudo di
difesa non sporadico, ma sistematico, di fronte a un esercito che
ritiene
vincolanti le norme della Convenzione di Ginevra.” E ciononostante
Israele
riesce a tener alta la fede e la pratica dei principi democratici, un
esempio
che dovrebbe essere onorato, esaltato, studiato dal resto
dell’Occidente e che
invece viene nascosta per presentare una versione di Israele
falsificata e
deturpata. Per la Nirenstein, Israele siamo noi nel senso che lei crede
nella
realtà demografica già cassandrescamente profetizzata da
Bernard Lewis e Oriana
Fallaci: che anche gli europei si troveranno a dover combattere la
guerra in
casa contro il fondamentalismo islamico.
Per
quanto
riguarda l’Italia, Ricolfi non è affatto convinto che Israele
siamo noi, ossia
Israele siamo noi per quanto riguarda il problema imminente, ma non
siamo noi per
ciò che concerne la nostra capacità di mettere il
benessere collettivo al di
sopra del nostro piccolo interesse personale. Fra tutte le
società europee
Ricolfi indica l'Italia come quella dove meno si guarda all’interesse
collettivo e dove più ogni uno pensa per sé.
E
a quanto pare
la Germania non va molto meglio. Maurizio Belpietro ha iniziato il suo
intervento descrivendo la copertina e il contenuto della rivista
settimanale
tedesca “Der Spiegel” della settimana scorsa: una fotografia notturna
della
Porta di Brandenburgo a Berlino con la mezzaluna in cielo e la scritta:
“Mecca
Deutschland. Die stille islamizierung”, “la silenziosa islamizzazione”.
Uno
degli articoli all’interno si intitola con la domanda: “Abbiamo
già la
Scharia?” Si riferisce alle innumerevoli sentenze in cui la giustizia
tedesca
ha agito a favore della ortodossia islamica tralasciando la legge dello
stato.
Per l’analista di “Der Spiegel”, il fatto che un giudice in Germana
possa
richiamarsi ai dettami del Corano rappresenta “un lento processo di
capitolazione di fronte all’inevitabile”.
Belpietro
ha
anche citato il saggio “La Festa è finita. Basta con la
società del
divertimento” dello scrittore tedesco Peter Hahne, saggio di cui
Belpietro ha
scritto la prefazione per l’edizione italiana, libro nel quale Hahne
denuncia
“l’ambiguo concetto di tolleranza che ha indotto l’Europa, e la
Germania in
primis, a celare la propria cultura e la propria religione.
Intellettuali,
giornalisti e politici del vecchio continente, quasi fossero stati
colti da un
curioso complesso di sudditanza, se non addirittura di viltà,
fanno a gara nel
rinnegare le proprie radici, dichiarandosi disponibili ad accogliere
nuovi
credo e mimetizzando i propri punti di vista per evitare di offendere
gli
interlocutori.” Si lamenta di un’intera generazione di pensatori che
“ha
sostituito Dio con il totem del dialogo, divenuto un idolo da venerare,
senza
rendersi conto che dietro questa parola, dialogo, dissimula un mare di
incertezze, la disponibilità al compromesso a qualunque costo,
la rinuncia alla
difesa delle proprie ragioni”.
Per
la
Nirensteing “gli ebrei d’Israele, dopo essere stati il primo popolo a
benedire
il mondo col monoteismo, sono oggi l’unico popolo che abbia benedetto
il Medio
Oriente con la democrazia. Forse
meritano uno sguardo, una considerazione completamente diversa da
quella che
hanno ricevuto fino a oggi, anche perché i loro nemici sono
anche i nostri ed
essi sono i primi sul fronte”.
Che
l’Europa
possa trovarsi prossimamente in prima linea in una guerra culturale,
minacciata
e attaccata dal suo interno, ci sembrava già palese ancora prima
di vedere le
agghiaccianti immagini dentro unamoschea torinese testimoniate dalle
telecamere nascoste della trasmissione “Anno Zero” di Michele Santoro.
Ma, come
Ricolfi e Belpietro, abbiamo qualche dubbio che nella nostra
capacità di
reagire saremo all’altezza di dimostrare che Israele siamo noi. Se
Israele
fossimo noi, non avremmo permesso passivamente il nidificare del nemico
in casa
nostra.
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