Overseas
Perspectives, 18 novembre 2008
Avrei votato per McCain, ma Barack Obama
è il mio
Presidente
Quest’anno per la prima volta, la mia “absentee
ballot”, la scheda elettorale che ricevo sempre per posta dagli Stati
Uniti,
non è arrivata in tempo utile perché io potessi votare. E’ la prima volta che succede ed ero molto
dispiaciuta ma ne ho approfittato per farla vedere ai miei studenti.
Naturalmente,
volevano sapere per chi avrei votato se la scheda fosse arrivata in
tempo.
Sanno che sono una “Independent”, una “swing-voter”, e che
nella
mia carriera di cittadina americana ho votato Repubblicano quanto
Democratico.
Pur non volendo schivare la loro domanda, neanche mi andava di
rendere esplicite
le mie preferenze politiche in classe o di rispondere
senza spiegar loro perché
avrei votato per l'uno e non per l'altro. Quindi a tal fine approfitto
di questo spazio.
Io non avrei votato per Barack Obama. Trovavo
inaccettabile il fatto che, come
senatore, lui abbia sempre votato “presente”, ossia né
“sì”, né “no”. Un
rappresentante del popolo è pagato per fare le leggi, per
decidere in un senso
o in un altro, non per scaldare la sedia.
Il suo non agire dava l’impressione di una persona con le idee
poco
chiare, che non sa decidere, qualità irrinunciabile per qualcuno
che ambisce al
più alto posto di potere sulla faccia della terra.
Ma assai più grave, mi aveva turbato che per ben 20 anni
lui
abbia frequentato una chiesa e avuto un rapporto d’amicizia con un
pastore che
usava il suo pulpito per predicare odio e controrazzismo, contro i
bianchi e
contro gli Stati Uniti. E peggio ancora
mi aveva disturbato il suo legame con un noto terrorista americano
impenitente. Non so spiegare il poco
spazio che questi
fatti abbiano ottenuto nei media o l’ondata di Obamania mondiale, tutti
sedotti
dal colore della sua pelle e dal potere messianiche delle sue parole,
trascurando i fatti riguardo alle sue azioni e inazioni.
Avrei
votato per John McCain perché so chi è: un
uomo che ha dedicato tutta la sua vita al servizio del suo, del mio,
Paese,
rischiando la propria vita ben tre volte.
Perché sono convinta che il suo desiderio di diventare
Presidente
nasceva dalla sua necessità di continuare a prestare il suo
servizio alla
nazione e non dall’ambizione personale.
Perché lui non parla solo di “bi-partisanship”, ma la
pratica da anni, e
le leggi che portano il suo nome col trattino accanto al nome di un
Democratico
ne sono la prova. Perché lui non
è un
conservatore, pur essendo un repubblicano. Il suo spirito è
indipendente, e sua
mente molto aperta all’ambiente e al sociale.
Ma le elezioni sono finite e, come McCain e la
maggior parte degli americani che conosco, dico: “Barack
Obama è il mio presidente” e gli auguro di fare un ottimo
lavoro. L’indole dell’americano medio
non nutre il sentimento “tanto peggio, tanto meglio”.
Credo che il suo essere presidente possa fare molto per guarire
le ferite del popolo afro-americano e per sconfiggere
l’antiamericanismo
rampante nel mondo. Spero che come
presidente troverà il decisionismo che gli mancava come
rappresentante, che
sarà un Franklin D. Roosevelt piuttosto che un Jimmy Carter. E
sono molto
curiosa di vedere la reazione di quelli che hanno cantato per un anno
la
mantra: “Yes, we can”, quando lui reagirà in politica estera
nell’interesse
nazionale statunitense passando a “Yes, I can and I will.”
giogia@giogia.com Ritornare alla lista