Italian Perspectives
by Sandra Giovanna Giacomazzi
I tanti italiani onesti, (L’Opinione
della Libertà, 24 febbraio 2004)
Quante e-mail di solidarietà e riluttante rassegnazione
da amici, colleghi e lettori per lo stupore e il disappunto nel mio articolo
sulla copiosissima consuetudine di copiare! Qui segue una piccola rassegna
di alcune loro testimonianze:
Un ex-preside in pensione mi ha raccontato la sua rabbia e frustrazione
quando fece il concorso di categoria tanti anni fa a Roma. Da quello
che riuscì a vedere era l’unico, fra centinaia di candidati, che si
era presentato solo con la penna e la propria preparazione! Gli altri
tirarono fuori libri e testi da borsoni stracolmi, che consultavano palesemente
sotto gli occhi dei “supervisori” stipendiati con le nostre tasse che facevano
tutt’altro che sorvegliare! L’esito fu felicissimo, nonostante tutto,
perché lui uscì secondo nella graduatoria di 1,400 candidati!
Però immagino quanto si sarà mangiato il fegato durante la
prova, pensando che la sua carriera sarebbe potuta essere compromessa, che
lui sarebbe potuto essere scavalcato da tanti disonesti spudorati.
Un dirigente dell’ufficio delle imposte mi riferisce di un suo
collega, pure dirigente, che copiò così “bene” quando passò
il suo concorso che ricalcò accuratamente le voci che indicavano il
testo dal quale copiava! L’episodio si racconta con allegria nel suo
ufficio come se fosse una barzelletta. Invece tutti quelli che lavorano
con lui o sotto la sua soprintendenza sono al corrente del fattaccio!
Non credo che sia necessario far notare che uno così da noi avrebbe
perso il suo lavoro.
Un’amica mi scrive che le ho fatto ricordare i suoi tempi al liceo
quando appunto i più “bravi” erano considerati quelli che riuscivano
a fregare meglio l’insegnante. Per questo, confessa con rammarico,
che si sentiva felice quando viveva a Londra, perché sentiva di vivere
in un Paese onesto.
Un lettore mi scrive addirittura che un bravo studente “che non
fa copiare viene considerato poco meno di un aguzzino nazista e soggetto
a rapida emarginazione da parte dei suoi compagni!”
Nella mia scuola le reazioni di due colleghi italiani sono state
diametralmente opposte. Uno condivideva in pieno il mio sgomento,
l’altro sproloquiava denigrando l’insegnamento nozionistico poiché
invito a copiare e quindi “perché non dovrebbero farlo se ci riescono?”
Ma la storia che più mi ha toccato è stata quella
di una collega inglese che ha cresciuto tre figli in Italia. Aveva
insegnato loro l’onestà e correttezza all’anglosassone dalla piccola
infanzia. Ma quando tornavano da scuola ripetutamente in lacrime con
dei voti mediocri guadagnati con sudore ed onestà, paragonati ai loro
compagni di classe con pagelle stupende conseguite con spudoratezza truffaldina,
ha dovuto rendersi conto che i suoi figli dovevano imparare a competere nella
realtà nella quale vivevano. Già, come potevano competere
con chi prendeva un 10 per una copia ed incolla da Internet! Quindi
con dolore lei fece un patto consensuale con loro: “Fate quello che
dovete fare per sopravvivere, ma raccontatemi tutto.” Chi conosce la
moralità anglosassone può intuire la sua sofferenza nel dover
compromettere l’educazione che aveva dato fino ad allora ai suoi figli.
Quando Mark Twain scrisse, “Controllano i passaporti alla frontiera
in Italia per paura che possa entrarci qualcuno onesto,” dimenticava i tanti
italiani onesti di allora, come quelli di adesso che si trovano male quanto
i forestieri a vivere in un Paese che premia la scaltrezza sulla meritocrazia.
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