L’Opinione delle Libertà, Edizione 111 del 26-05-2007
La proposta di Edward Luttwak
Iraq, cambiare
strategia
La settimana
scorsa l’ex premier spagnolo José Maria Aznar era a Roma per
celebrare insieme
a Gianfranco Fini la nascita di “Farefuturo”, una fondazione per
promuovere i
valori della destra in Europa. Anche se la stampa italiana si è
concentrata sul
suo “nada de nada” riguardante la politica interna, Aznar non ha solo
sbugiardato Prodi e tutti coloro che continuano a ripetere che è
stato il
governo di Aznar e non quello di Zapatero ad aver avallato una legge
che
riconosce il matrimonio fra omosessuali. Più importante, ha
parlato delle sfide
da affrontare contro il pericoloso predominio del relativismo,
dichiarandosi orgoglioso
di essere politicamente scorretto al riguardo. E’ un atlantista
convinto e
ritiene che l’impegno preso dal suo Paese in Iraq fosse giusto.
Pochi giorni dopo,
anche il premier britannico uscente, impegnato nella sua
ultima visita ufficiale in Iraq, ha dichiarato di non avere rimpianti
per il
ruolo svolto dal suo governo nell’invasione guidata dagli Stati Uniti
per
rovesciare il regime di Saddam Hussein. E a questo proposito quale
è stata
l’uscita dell’ex Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, il maggior
responsabile del ritorno in Iran dell’Ayatollah Khomeini con tutto
quello che
ne è seguito? Si è permesso di insultarlo senza mezzi
termini, dichiarando che
il sostegno di Tony Blair al Presidente Bush è stato
“disgustoso” e
“chiaramente servile”. Che dire! I signori Svedesi gli daranno un altro
premio!
Questo, secondo Luttwak, è il motivo per cui gli Stati Uniti non
potevano, non
possono e non potranno vincere con la strategia attuale. Ma neanche si
può
abbandonare l’Iraq: “sarebbe un balzo nel buio”. Allora qual è
la soluzione di
Luttwak? Luttwak propone una politica di lungo termine che non è
un ritiro
programmato, ma un cambiamento tattico radicale. I soldati americani
smetterebbero di fare ciò che hanno fatto fino ad ora:
pattugliare le strade
dei paesi e dei villaggi, condurre operazioni di rastrellamento e
ricerca,
mantenere avamposti e checkpoints. Né rimarrebbero “embedded”
nell'esercito
locale o nelle forze di polizia locali. Questo permetterebbe alla
maggior parte
delle truppe di tornare a casa, a cominciare dai riservisti e dalle
unità della
Guardia Nazionale. Quelli rimasti ripiegherebbero in basi remote, da
cui
potrebbero fermare nuove invasioni dall'estero, dall'Iran o dalla
Siria, e
colpire qualunque concentrazione di jihadisti dovesse emergere.
“Convertire il
nostro esercito, i nostri marines in una specie di gendarmeria
mesopotamica,
non è una formula che può funzionare, se non altro,
perché non abbiamo i numeri
per pattugliare le strade in modo capillare. E anche se li avessimo non
abbiamo
la mentalità giusta per vincere in questa maniera”.
Editors interested in subscribing to this syndicated column may request information by sending an e-mail to:
giogia@giogia.com Ritornare alla lista