Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 85 del 03-05-2008

Uno scrittore nato

Giovannino Guareschi, scrittore e giornalista, 100 anni dalla nascita e 40 anni dalla morte

Un umorista dalle grande dirittura morale

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Quest’anno duemilaotto è particolarmente ricco di anniversari da celebrare o dimenticare, secondo il caso, per la cultura e la storia italiana con tutti i libri, le conferenze e i convegni che circondano tali scadenze.  Fra i tanti ci sono: il centocinquantesimo anniversario della nascita del compositore, Giacomo Puccini, il sessantesimo anniversario della Costituzione italiana, il quarantesimo anniversario di quel famigerato ’68 e il trentesimo anniversario dell’assassinio di Aldo Moro.  Ci voleva, però, il Centro Pannunzio per ricordare il doppio anniversario dello scrittore, giornalista ed umorista, Giovannino Guareschi, a cento anni dalla sua nascita il primo maggio del 1908 e a quarant’anni dalla sua morte in quello stesso sciagurato ’68 per il quale la sua morte fu allora ignorata com’è oggi dimenticata.  E se la cosa ci rattrista non ci sorprende.  Già allora, le malelingue dell’Unità scrissero: “E’ morto uno scrittore che non era neanche mai nato.”  Fu un giovanissimo Pierfranco Quaglieni, l’attuale presidente del Centro Pannunzio, uno dei pochissimi a scrivergli un necrologio degno, pubblicato su “La Mole” e intitolato affettuosamente, “Addio, Giovannino”.  Altrimenti la sua morte fu ignorata di proposito, sepolto nell’indifferenza generale.  Al suo funerale c’erano pochissime persone, nessun politico e quasi nessun collega. 

Di Guareschi si può capire il senso della famiglia e della nazione dagli oggetti che ha voluto nella sua tomba: le prime scarpine dei due figli e la bandiera con lo scudo sabaudo. Chi lo tacciò di fascista per la scelta di quel tricolore o per altro come, per esempio, il film intitolato “La Rabbia”, girato “insieme” a Pasolini, ignora o fa finta di non sapere come finì sotto le armi proprio per aver ridicolizzato Mussolini e i suoi, o come capitò nei campi di concentramento proprio per il suo rifiuto di collaborare col regime.  Non era un uomo della casta.  Avrebbe sacrificato la libertà del suo corpo altre due volte pur di non sacrificare quella del suo pensiero.  Come quando fu condannato in appello con l’accusa di vilipendio al Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, per la vignetta nella quale aveva raffigurato i corazzieri davanti al Quirinale in forma di bottiglia di “Nebiolo”, così denunciando come Einaudi avesse utilizzato il suo ufficio pubblico per scopi commerciali e avesse commesso uno abuso chiamando quel vino “del Presidente”.  O quando, nel 1954, pubblicò le due lettere di De Gasperi nelle quali De Gasperi aveva invitato gli alleati a bombardare Roma per accelerare la fine della guerra e la liberazione.  Quando il magistrato di Parma lo condannò senza porsi il problema di una perizia calligrafica, prese lo zaino e si recò alla prigione commentando: “No, niente appello. La mia dignità di uomo libero, di cittadino e di giornalista libero è faccenda mia personale e, in questo caso, accetto soltanto il consiglio della mia coscienza. Riprenderò la mia vecchia e sbudellata sacca di prigioniero volontario e mi avvierò tranquillo e sereno in quest’altro Lager. Ritroverò il vecchio Giovannino fatto d’aria e di sogni e riprenderò, assieme a lui, il viaggio incominciato nel 1943 e interrotto nel 1945. Niente di teatrale, niente di drammatico. Tutto semplice e naturale. Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione.”  Nessuno fece una tragedia per proteggere la sua libertà di dire la verità come fecero invece in tanti perché Enzo Biagi potesse continuare ad avvelenarci con le sue menzogne.

Il Centro Pannunzio ha celebrato il duplice anniversario dell’autore meglio conosciuto come il creatore di Don Camillo e Peppone con tre iniziative: una conferenza al Circolo degli Artisti di Torino dedicata alla sua vita e il suo impegno politico, un’altra conferenza in sede, sempre a Torino, indirizzata ai due personaggi più famosi delle sue opere, e un pellegrinaggio ai luoghi di Guareschi nella Bassa Parmense.

Per la conferenza presso il Circolo degli Artisti il condirettore del Centro, Dante Giordanengo, ha preparato e  proiettato una carrellata delle vignette dell’umorista, che mostrava le tappe più significative della sua vita e il suo spirito senza compromessi, come per esempio, quando nel 1943 fu imprigionato in alcuni campi di concentramento in Polonia e Germania con altri 5,000 soldati italiani, dove sfruttò il suo senso di umorismo e ottimismo per tener alto il morale degli altri internati.  Di quei tempi scrisse “Non abbiamo vissuto come bruti. Non ci siamo richiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire.”  

Poi altre vignette dal settimanale “Candido”, di cui fu fondatore e direttore insieme a Giovanni Mosca, come quella che è ritenuta aver dato una mano alla sconfitta dei comunisti nelle elezioni del ’48.  Quella che raffigurava lo scheletro di un soldato italiano dietro il filo spinato con tre simboli nel cielo nero: la falce e martello, la stella rossa dell’URSS e il busto di Garibaldi, con la didascalia in alto: “100,000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia” e in basso: “Mamma votagli contro anche per me.”

Sempre in sede di conferenza la professoressa Ornella Pozzi ha letto ad alta voce un commovente racconto pubblicato nel “Candido” intitolato “Colpo di stato”.  La storia di “un uomo alto” che passeggia nei boschi delle montagne svizzere e finisce oltre frontiera, colpa di una birichinata di sua figlia che vuole “tastare” l’Italia.  Ospitati a tavola da una famiglia umile, l’uomo alto si dimostra più umile ancora.  Il racconto fa la spola fra: scene di toccante modestia e reverenza fra la famiglia e i loro illustri ospiti, e il comico e ridicolo subbuglio creato nei palazzi dei ministeri romani per un temuto colpo di stato del mai nominato re.

Le tappe del viaggio pellegrinaggio alla scoperta del mondo piccolo di Giovanni Guareschi ha toccato i luoghi in cui Guareschi è nato e vissuto e dove erano ambientate le sue opere più celebri.  La prima tappa a Roncole Verdi per rendere omaggio alla sua tomba e visitare il vecchio ristorante convertito in museo dove i suoi figli hanno allestito una mostra antologica permanente dedicata allo scrittore, una visita che varrebbe la pena di inserire nei famosi Pof (Piani di Offerta di Formazione) scolastici.  La seconda tappa a Fontanelle di Roccabianca dove si trova la casa in cui nacque proprio il primo maggio, nel edificio che ospitava anche le cooperative della Bassa Parmense e dove, avvolto in un fazzolettone rosso, fu presentato alla platea di socialisti nella piazza dal fondatore, Giovanni Faraboli, con le seguente parole trionfante:  “Gente, oggi è nato un nuovo compagno”.  Guareschi non poteva ricordarlo, ma tanto gli avevano raccontato, che di quel giorno scrisse, “intatto mi rimarrà nella carne il tepore delle mani forti di Giovanni Faraboli.”  Di fatti, fu proprio lui ad ispirare il personaggio di Peppone. 

Ancora oggi Guareschi non appare nelle antologie scolastiche.  Nella sua “Storia della letteratura italiana” Giulio Ferroni gli concesse una riga: “Non ha valore né letterario né culturale.” Snobbato dall’intellighenzia invidiosa, Giovannino Guareschi, come Oriana Fallaci, trovano un posto più nobile nei cuori dei loro lettori.  Sono gli autori italiani più letti e più amati, tradotti in tutte le lingue del mondo dove i nomi dei loro critici neanche si conoscono.  


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