Gli specchi di Barenghi (Ragion Politica, 9 settembre 2005)
In un editoriale su “La Stampa” intitolato “Due stragi in uno specchio”, Riccardo Barenghi traccia dei parallelismi fra le coincidenze delle due catastrofi che hanno colpito quasi simultaneamente due Paesi così diversi fra di loro: l’uragano Katrina negli Stati Uniti e il calpestio in Iraq. Sembrava che l’ex direttore de “Il Manifesto” volesse dimostrare come siamo tutti uguali nella nostra sofferenza davanti ad una catastrofe umana, ma invece poi dichiara che una tale conclusione sarebbe “banale”.
Molto meno banale sono le sue riflessioni concludenti: “…viene da pensare che se un iracheno medio guarda in tv le immagini dei morti americani, non solo non piange ma magari ne trae anche una certa, macabra soddisfazione. E viceversa per il suo collega americano. Perché quelli che affogano nell’acqua del Mississippi, il primo li identifica con coloro che hanno bombardato e occupato il suo paese; e quelli che affogano nel Tigri, l’altro li associa a chi ha distrutto le sue Torri e lo terrorizza ovunque vada nel mondo.”
Insomma l’articolo era solo un pretesto per la sua pretesa di leggere nell’animo dell’indole americana e di quella irachena e di trovare del marciume che si trova invece nel suo animo. Come dimenticare l’editoriale che scrisse il giorno prima dell’inizio dell’intervento in Iraq nella primavera del 2003: che pur essendo pacifista convinto, guardandosi a tu per tu dritto negli occhi davanti allo specchio, non poteva non constatare che ciò che sperava nel profondo del suo animo fosse che la guerra in Iraq durasse il più a lungo possibile, anche se ciò avrebbe causato tanti morti, perché così avrebbero imparato, gli americani, a fare la guerra!
L’unico consiglio che mi viene da dare a Barenghi è di tenersi lontano dagli specchi. O se proprio non riesce, che non li usi come sfera di cristallo per sputtanare gli animi altrui, e anziché pubblicare sulle prime pagine dei giornali tutto ciò che vede nel proprio animo, che lo racconti al suo confessore o al suo psicoanalista.
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