Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 137 del 29-06-2007

La campagna di Giuliani

“Democratici deboli nella guerra al terrorismo”

 di Sandra Giovanna Giacomazzi

 “Molte persone credono che il primo attacco contro l’America sia avvenuto l’undici settembre 2001. Non è così. Fu nel 1993. Prima dell’undici settembre i terroristi islamici avevano già ucciso più di 500 americani”. Sono queste le parole che l’ex sindaco di New York ha usato come incipit per affrontare l’argomento dell’impegno contro il terrorismo davanti ad un gruppo di 650 leader politici e uomini d’affari ad una conferenza-pranzo alla Regent University, un’università conservatrice e cristiana fondata dal leader religioso Pat Robertson.

Secondo Giuliani, l’errore di Clinton fu di trattare l’attacco al World Trade Center come un atto criminale anziché un attacco terroristico. E che quest’errore ha imbaldanzito i terroristi a commettere altri atti come quelli al complesso residenziale Khobar Towers in Saudi Arabia, alle due ambasciate in Kenya e Tanzania e all’USS Cole ormeggiata nello Yemen. “Osama Bin Laden ci ha fatto una dichiarazione di guerra e non l’abbiamo sentito”.

Giuliani dice tutto ciò con il senno del poi, precisando di non voler dare la colpa a nessuno per le decisioni prese prima dell’undici settembre, ma a quelli che, dopo quella data, continuano a non percepire il messaggio. Critica, invece, e senza mezzi termini, i Democratici che abbandonerebbero Iraq dando addirittura ai terroristi un “calendario per il ritiro”, accusandoli di debolezza e ingenuità.

Parlando ad una comunità ebraica nel Maryland, il candidato repubblicano per la Casa Bianca ha citato il conflitto in corso fra le fazioni palestinesi Hamas e Fatah: “quello che è successo a Gaza è un microcosmo di quello che potrebbe succedere a Baghdad, col rischio poi di infiammare tutta la regione”. E così ha ribadito il suo impegno in Iraq respingendo ogni forma di ritiro o riduzione delle truppe: “Se le forze statunitensi dovessero ritirarsi dall’Iraq, il paese esploderebbe com’è esplosa Gaza dopo il ritiro israeliano”.

Tutto ciò mentre a tarda sera nel Senato, Richard Lugar, senatore repubblicano dell’Indiana, ha tenuto un discorso di ben 45 minuti, rompendo i ranghi repubblicani con l’amministrazione Bush, suggerendo un ridimensionamento dell’impegno militare in Iraq.  Lugar, uno dei repubblicani con più anzianità nel Senato ed ex presidente della commissione di relazioni estere, ha dichiarato che, poiché la strategia in Iraq non sta funzionando, gli Stati Uniti dovrebbero ridurre il numero delle truppe ingaggiate. “E’ la mia opinione che i costi e i rischi a continuare su questo sentiero superano i benefici potenziali che potremo raggiungere. Persistere indefinitivamente con la strategia del “surge”, o incremento, serve solo a rimandare le politiche di aggiustamento che avranno una possibilità maggiore di proteggere i nostri interessi vitali nel lungo termine”.

Una valutazione così schietta è stata una vera sorpresa, anche se la sua posizione al riguardo era già nota, Aveva anche scritto una lettera a Bush nel mese di gennaio esprimendo i suoi dubbi. Però, secondo il portavoce di Lugar, Andy Fisher, il senatore ci teneva ad esprimere la sua preoccupazione pubblicamente prima della revisione che Bush farà a settembre. La maggioranza dei repubblicani, invece, sono disposti ad aspettare fino a settembre per vedere se sta funzionando o no l’incremento delle truppe ordinato da Bush recentemente.  Pochi hanno divaricato dalla politica dell’amministrazione Bush, chiesto un cambiamento in Iraq o abbracciato la proposta dei democratici di fissare una data specifica per il ritiro. Secondo alcuni, però, la critica di Lugar potrebbe offrire una copertura politica per altri repubblicani che volessero sfidare la politica di Bush in Iraq.

Giuliani ha sempre riconosciuto che fra lui e gli altri candidati repubblicani, c’era poca differenza nelle loro posizioni riguardo al terrorismo e la politica da seguire nel Medioriente, che era la sua esperienze di sindaco di New York a fornirgli una carta di preparazione in più per affrontare le responsabilità presidenziali. Dopo l’effetto Lugar, vedremo se sarà ancora così.


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