Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 227 del 19-10-2007

Furio Colombo, l’America e l’equivoco democratico

Il Partito democratico non ha nulla a che vedere con i liberal. Ecco i mille motivi che rendono il paragone improprio e azzardato

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Non ci sono parole più eloquenti o accurate per descrivere l’organizzazione delle non primarie svoltesi domenica scorsa per eleggere il segretario del “nuovo” partito “tuttaaltrochedemocratico” di quelle usate dal direttore di questo giornale già alla sua vigilia: illusorie, liturgiche, un rito ripetitivo e profondamente truffaldino. Sospettiamo che persino i partecipanti al grande evento percepissero gli odori furfanteschi del metodo, soprattutto coloro con qualche esperienza diretta con vere primarie celebrate con autentica democrazia. Come, per esempio, Furio Colombo che ha l’abitudine di sfoggiare la sua conoscenza e amore per certe cose americane sviluppate durante la sua presenza trentennale negli Stati Uniti. E così durante un incontro fra promotori e aderenti al nascente partito alla vigilia del grande voto, Colombo ha esordito raccontando del suo iniziale rammarico, giacché in principio i costituenti avevano l’intenzione di presentare un solo candidato per l’elezione del loro segretario. E quindi, pur non volendo candidarsi, lo aveva fatto per dare almeno una parvenza democratica, finché non sono avanzati poi altri candidati rendendo la sua candidatura non più necessaria.

Era anche rimasto deluso quando avevano rifiutato la candidatura di Marco Pannella, uomo di pace che aveva proposto l’esilio di Saddam Hussein come metodo per evitare la guerra in Iraq. Non sappiamo quale sia stato il suo percorso dal rammarico e dalla delusione alla condivisione della volontà del partito, che pure c’è stata, dal momento che l’incontro si intitolava “A sinistra per Veltroni”, proprio colui che avrebbe dovuto essere il candidato unico. E da lì ha cominciato a parlare della democratizzazione del Partito Democratico negli Stati Uniti a partire dai metodi introdotti da John F. Kennedy, altro uomo di pace, che, secondo il suo parere, seppe gestire con abilità la crisi dei missili sovietici istallati a Cuba. Dimenticava che il modo in cui Kennedy gestì il fallimento dell’invasione della Baia dei Porci aiutò a cementare i rapporti sovietico-cubani e condusse Krushchev a credere che Kennedy fosse un uomo arrendevole. Per rendere meglio l’idea dell’essere democratico nell’America che lui ama, Colombo ha paragonato Kennedy a certi presidenti repubblicani guerrafondai come Bush, citando il numero di morti e feriti americani in Iraq, quasi 4,000 e 30,000 rispettivamente. Evidentemente ha rimosso dalla memoria che fu proprio Kennedy a coinvolgere gli americani nella guerra in Vietnam che produsse ben altre statistiche in costi umani americani: 58,000 morti e 300,000 feriti.

I ricordi storici di Colombo sono altrettanto selettivi riguardo ad un altro presidente democratico e uomo di pace, al punto di aver vinto un Nobel in materia, Jimmy Carter, che, secondo il senatore, seppe gestire con eccellenza l’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran con la presa di 66 ostaggi americani. Scordando il fatto che l’inadeguatezza di Carter lo ha reso il maggior responsabile del ritorno in Iran dell’Ayatollah Khomeini con tutto ciò che ne è seguito: la trasformazione dell’Iran da alleato degli Stati Uniti ad un suo nemico dichiarato, le mini-gonne rimpiazzate dal chador, e come se non bastasse, uno dei sequestratori a capo del governo iraniano che ambisce all’atomica e minaccia la stessa esistenza dello stato di Israele, paese adorato e difeso dallo stesso Colombo. Era il 1979: fu piantato il primissimo seme della rivoluzione islamica che germogliò e moltiplicò nelle dimensioni che conosciamo oggi, invadendo lo stesso territorio dell’Occidente. Questo non è essere un uomo di pace ma di appeasement che rimanda agli eredi futuri la responsabilità delle decisioni difficili.

Tornando al Partito Democratico italiano, dal 1989 questa è la terza volta che i rossi cambiano nome. Dal Pci al Pds hanno tolto la parola comunista sostituendola con democratici di sinistra. Poi si sono accorti con Tangentopoli che anche il termine partito non era più di moda e sono diventati semplicemente Ds, Democratici di sinistra. Adesso hanno deciso che fa più fico confondere le idee della gente alludendo al Partito Democratico oltreoceano e si sono battezzati “il Pd”. E questa volta non hanno solo cambiato nome, ma hanno indossato un pelo democristiano. Tuttavia, non ingannano nessuno: i vizi rimangono quelli del lupo originario.


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