Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 51 del 13-03-2008

I democratici vogliono far votare di nuovo Florida e Michigan. Con che soldi?

Usa, spaccatura a sinistra

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Oramai quasi quattro quinti degli stati hanno votato ma continuiamo a non sapere chi sarà il candidato democratico che competerà contro il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, nella gara presidenziale a novembre. Sabato scorso nei caucuses del Wyoming, uno stato grande quanto l’Italia con una popolazione che è la metà di quella di Torino, ha vinto il senatore dell’Illinois, Barack Obama. Ma con la distribuzione dei delegati col sistema proporzionale, non è cambiato molto. Dei dodici delegati disponibili, Obama ne ha presi sette e cinque sono andati alla senatrice di New York, Hillary Clinton. Martedì, nel Mississippi, è successa la stessa cosa. Dei 33 delegati assegnati al Mississippi, Obama ha presi 17 e la Clinton 11. Il prossimo appuntamento è il 22 aprile in Pennsylvania, uno stato con un’economia ed una demografia molto simile all’Ohio, quindi sarà una vittoria molto probabile per Clinton. Pur con bottino di 158 delegati, i due candidati potrebbero rimanere sempre più o meno in pareggio. Dopo la Pennsylvania per i Democratici rimarranno ancora otto stati da contendere, nei quali è dato per scontato che nessuno dei due potrà arrivare al numero di delegati necessari per la nomination: 2.025.  

Per un po’ di tempo i Democratici ritenevano che fosse vantaggioso il prolungamento nel tempo della gara. Tutti erano così stimolati ed eccitati. La partecipazione era forte, l’energia alta e stavano raccogliendo più soldi. Ma adesso cominciano a preoccuparsi. La gara diventa sempre più aspra e potrebbe danneggiare e dividere il partito. Alla fine l’elettorato del perdente potrebbe non essere più disposto a dare il suo voto al vincitore. E’ ciò che successe anche nel 1980 fra Ted Kennedy e Jimmy Carter, quando poi fu eletto Ronald Reagan.

Allora che fare? Nessuno vuole che tutto sia deciso alla Convention dai “superdelegati” non eletti. L’ultimo volta che ciò successe fu nel 1952 quando fu nominato Adelai Stevenson, che poi perse contro “Ike” Eisenhower.  

Ci sarebbero i delegati della Florida (210) e del Michigan (156), che sono stati sottratti ai due stati dal Comitato Nazionale del Partito Democratico perché, contro la volontà del partito, hanno anticipato la data delle loro elezioni. Clinton ha vinto in entrambi gli stati con una partecipazione record nonostante si sapesse già che il voto non si sarebbe tradotto in delegati. Il presidente del Comitato, Howard Dean, ha detto che gli stati hanno scelto di disobbedire alle regole e che quelle regole non possono essere cambiate a metà percorso, anche se senza i loro delegati non si arriva ad una vittoria per nessuno. In ogni modo, non sarebbe una soluzione accettabile per il campo di Obama. Quindi si propone di fare un “do-over”: si voterebbe di nuovo a giugno nei due stati. Dean ha dichiarato che sono liberi di farlo, ma che il partito non lo finanzierà; i suoi risparmi servono per la campagna “vera”. I due stati non sono disposti a finanziarlo perché bisognerebbe usare soldi pubblici, ossia dei contribuenti, una scelta inaccettabile. C’è, però, un’altra soluzione. Ai partiti locali è permesso raccogliere ciò che viene chiamato “soft money”, ossia trovare qualche miliardario che sia disposto a donare i soldi necessari per svolgere i due “do-overs”: i 18 milioni di dollari per la Florida e i 10 milioni di dollari per il Michigan. Pare che non sia una cosa così difficile. Così i due stati grandi che volevano essere fra i primi stati a votare per contare di più, sarebbero poi gli ultimi e quelli decisivi!


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