Cronaca di una crisi annunciata (L'Opinione, 10 ottobre 2002)
Crisi alla Fiat. Ma perché tanti italiani fecero i finti tonti? Tangentopoli revisited? Nel senso che mezza Italia finse di non sapere ciò che era nelle carte, che stava scritto nelle stelle, ma soprattutto stava scritto nelle regole del mercato e in qualunque libro di Basic Economics. I governi italiani e la famiglia Agnelli non fecero altro che camminare con determinazione verso questa fine.
In primo luogo, rifiutando i benefici di una sana competizione applicando leggi protezionistiche ad oltranza. Negli anni ottanta la percentuale d’auto di produzione nazionale era più alta in Italia che in qualunque altro paese europeo. Le quote d’auto d’importazione erano bassissime e quelle Giapponesi erano ancora vietate per anni in Italia, dopo che in Francia, per esempio, avevano già acquisito una rispettabile fetta del mercato.
In secondo luogo, la Fiat aveva la viziosissima consuetudine di usare le casse dello stato per risolvere i suoi problemi d’esuberi. E come se non bastasse, il governo regalò alla famiglia Agnelli la scuderia di Stato, l’Alfa Romeo. E per questo si può ringraziare Romano Prodi in prima persona, allora presidente dell’IRI e responsabile di aver interrotto le trattative con la Ford che era pronta a pagare il suo giusto prezzo.
Un rapporto incestuoso fra stato ed industria che fece in modo che la Fiat non abbia dovuto produrre macchine che potessero competere sul mercato mondiale. Chi osava poi farglielo notare veniva zittito, come Alan Friedman che scrisse tutta la storia in un libro pubblicato sia in inglese sia in italiano. Io ho una copia in inglese. Quello in italiano, mi dicono che l’abbiano fatto sparire. Ma non è facendo sparire le verità indicibili che si risolvono i problemi. Prima o poi i nodi vengono al pettine. E questa volta per la Fiat non sembra che ci sia parrucchiere che tenga.
Un anno fa circa tornai a Torino dopo un lunghissimo soggiorno nel mio Paese (USA). Trovai la città piena di cantieri: Si costruisce il metro. Si è sempre sognato un metro a Torino, ma quando lo seppi, ebbi dei brividi e pensai: Allora la Fiat chiude.
Perché pensai così? Perché nel 1980 quando la città fu ancora in crescita, avevano fatto una grandissima campagna pubblicitaria. Lo chiamarono la Rivoluzione dei Trasporti. Ci promisero semafori intelligenti ed il metro. I semafori diventarono sempre più scemi, e del metro se ne parla solo adesso che la popolazione è molto diminuita e diminuirà ancora coi licenziamenti previsti.
Perché non fecero il metro allora? Perché evidentemente l’Avvocato non lo gradiva. Preferiva vendere tante macchine utilitarie piuttosto che rendere la città più agibile. Da allora tante volte se n’è riparlato di un metro, ma inutilmente. È per questo che quando seppi che il metro si faceva, capì subito che aria tirava. La scusa delle Olimpiadi era solo un’attenuante. È per questo che non ero sorpresa il dicembre scorso quando le teste manageriali cominciarono a rotolare o l’estate scorsa e l’altro ieri quando annunciarono i tanti posti a rischio degli operai.
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