Italian Perspectives                                                              
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

L’Opinione delle Libertà, Edizione 161 del 21-07-2006

Italia e America, costituzioni a confronto

Una risposta a Teodoro Klitsche De La Grange  

Grazie Teodoro per l’onore che hai fatto a me, commentando (12/7/06) il mio articolo sulle nostre costituzioni, e ai “founding fathers” del mio Paese che hanno saputo tessere con fatica un documento che ha permesso alle tredici colonie di prosperare, crescere e diventare l’unica superpotenza mondiale.

Sono rimasta colpita da una cosa che tu hai scritto riguardo al modo in cui la “destra” giudichi “buone” le costituzioni che fanno prosperare lo Stato e la sinistra quelle che si avvicinano al loro modello ideale, ai loro sogni. Credo che con ciò tu abbia proprio colpito nel segno. Nei giorni immediatamente precedenti al referendum sono andata ad una conferenza organizzata dall’Associazione Mazziniana Italiana sul tema “Difendiamo la nostra Costituzione”. Uno dei relatori era Diego Novelli, l’ex-sindaco comunista di Torino. Nonostante che la riforma della costituzione riguardasse esclusivamente la seconda parte, ossia i meccanismi che fanno funzionare le istituzioni, le sue parole erano dedicate esclusivamente ai principi fondamentali e ne parlava con una estasiata reverenza.  

Quando Novelli legge: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, si inebria. Io invece penso a tutte le persone che ho conosciuto nell’Unione Sovietica e nei Paesi dell’ Est svogliate, disincentivate e mortificate da un lavoro obbligatorio e insensato.  Quando lui legge: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” si esalta. A me quelle parole ricordano quelle di Marx nella sua Critica al Programma di Gotha: “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!”

Quando leggo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” sono parole che posso condividere. Quando invece leggo: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” mi preoccupo di uno Stato che interferisce troppo.

Gli uomini che hanno scritto la Costituzione degli Stati Uniti non hanno dedicato una sezione ai i diritti fondamentali. Questo perché ritenevano sufficiente i diritti che erano già inclusi nelle costituzioni dei singoli stati, e perché erano più interessati a trovare soluzioni pratiche per l’organizzazione delle istituzioni della nazione nel suo insieme. Infatti quest’omissione è il punto contenzioso che ha fatto sì che alcuni delegati non firmassero. Ma quando furono aggiunti i dieci primi emendamenti nel 1791 sotto il nome di Bill of Rights, o Carta dei Diritti, non usarono parole floreali o altisonanti. Affrontarono in modo chiaro diritti pratici come “the writ of habeas corpus” per evitare l’arresto arbitrario, la proibizione di leggi “ex post facto” per evitare l’emissione di leggi retroattive e il divieto del “double jeopardy” sull’inappellabilità dei magistrati, diritti che in Italia sono ancora a rischio nonostante ben cinquantaquattro articoli fra i principi fondamentali e la prima parte della costituzione tanto cari a Novelli.


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