Italian Perspectives
by Sandra Giovanna Giacomazzi
Il copiare non si confessa!
(L’Opinione della Liberta, 17 febbraio 2004)
“Ahi, serva Italia, di dolore ostello, / Nave sansa nocchiere
in gran tempesta, / Non donna di provincie, ma bordello!” Conosceva bene,
Dante, la sua terra, non come questa forestiera, pur residente di lunga data,
che non smette mai di stupirsi.
Appena arrivai nella scuola italiana tre anni fa, rimasi piuttosto
sbalordita dall’onnipresenza dell’abitudine di copiare. Quando poi
seppi che l’insegnante di religione nella nostra scuola era un prete, gli
dissi un giorno: “Certo che i ragazzi praticanti saranno lì da te
tutte le settimane per confessare tutto questo copiare che fanno.”
E lui? Lui mi rise in faccia! “Ma che confessare? Mica
si confessa una cosa da così poco! Lo fanno tutti.” Dante
docet, evidentemente la Chiesa no!
Non mi ricordo per quale motivo, ma qualche settimana fa ho raccontato
quest’aneddoto ad una delle mie classi. Hanno risposto con un’impertinenza
però affettuosa, tale era la loro sorpresa per la mia ingenuità:
“Ma Professoressa, per forza le ha riso in faccia! Lo facciamo tutti!”
In risposta ai loro sguardi inquisitori per il mio viso sbigottito
e per fare loro capire da che mondo provengo, ho raccontato loro un altro
aneddoto. Un professore universitario al Politecnico di Torino fu chiamato,
per tre anni consecutivi, ad insegnare in un’università degli Stati
Uniti. Durante le sue lezioni era assistito da due docenti americani.
A fine corso si doveva sostenere una prova scritta. Distribuito il
tema, i due docenti americani proposero di allontanarsi dall’aula per andare
a prender un caffè. Il professore italiano, scandalizzato, gli rispose,
“Ma come? Li lasciamo qui da soli? E se copiano?” A questo
punto furono i professori americani a scandalizzarsi. “Copiare?
I nostri studenti? Non lo farebbero mai! Farlo sarebbe ferire
il loro amor proprio. Sarebbe un’ammissione della propria inadeguatezza.”
E andarono poi a prendere il caffè, il professore italiano a testa
bassa sentendosi parte di quell’Italia “serva” di cui già parlava
Dante.
Ho visto che il racconto fascinava i miei studenti. C’era
un silenzio inedito in quell’aula. Non erano mai stati così
attenti e allora ho continuato: “Vi rendete conto quale società
si prepara per domani, se per voi lo sgarrare alle regole è già
cosa scontata? Un medico che ha copiato agli esami, che razza d’operazione
ti farà? Che sicurezza danno i ponti o le funivie costruiti
da un ingegnere che ha barato per avere la sua laurea? È vero
che nel vostro Paese le leggi spesso sono poco rispettabili, nel senso che
se segui tutti i sensi unici ed i divieti di girare a volte è difficile
tornare a casa. O se un’azienda paga tutte le tasse dovute, potrebbe
anche dover chiudere. Ma se si accetta già a priori di non rispettare
le regole, dove tracci poi la linea del bene e del male, il giusto e l’ingiusto,
l’accettabile e il non accettabile? Ognuno decide per sé?
Capisco che quando voi vedete i vostri genitori passare col rosso o gli adulti
fumare dove è vietato, vi manca l’esempio da seguire. I vostri
genitori, i vostri insegnanti, i vostri preti, la vostra società hanno
fallito clamorosamente la loro missione di nocchiere.
Il mio Paese è tutt’altro che perfetto, ma vi assicuro
che copiare da noi non è accettabile. Se mai qualcuno lo facesse,
si vergognerebbe come un verme. Se le regole o le leggi sono inadeguate,
le cambiamo, e lo facciamo in fretta perché nessuno possa sentire
di aver ragione per il suo disobbedire ad una legge sbagliata. Talmente
è forte quest’insegnamento nella mia educazione che vent’anni in Italia
non possono cancellarlo.”
Mancavano cinque minuti alla fine della lezione e pendevano ancora
dalle mie labbra. Allora ho aggiunto: “Pensate a queste cose la prossima
volta che sentite tutti coloro che criticano gli Stati Uniti perché
non firmano qualche trattato internazionale, che sia il Trattato di Kyoto
o il Tribunale Internazionale. Non è questione di prepotenza
o di menefreghismo. Saremo ingenui, ma non siamo stupidi. Non
vogliamo più firmare accordi che saremmo gli unici a rispettare.
La nostra firma vale non solo le parole scritte, ma quelle parole tradotte
in fatti.
Quando ha suonato il campanello nessuno ha fiatato. Non
pensavo di aver raggiunto il miracolo della conversione, ma ero convinta
di aver fatto almeno breccia.
Una settimana dopo ho dato un compito in classe, proprio a quella
classe. Già dal primo anno, sapendo quant’è difficile
controllare le loro chiacchiere e i loro occhi girovaganti, faccio in modo
che ci siano almeno sei versioni diverse del compito in giro per la classe,
con tutto il lavoro, l’inchiostro, e la carta che un tale sforzo comporta.
Una volta avviato il compito, ho notato qualcosa sporgente dalla manica di
una studentessa. Toccando il polso, ho sentito il duro e lo scricchiolare
della carta. Le ho chiesto di rovesciare la maglia, e lì in
formato miniatura da sfidare anche i loro occhi giovanissimi e grazie a più
passaggi di diminuzione della fotocopiatrice, c’era tutto ciò che
dovevano studiare per l’esame. Era una dalla quale meno avrei aspettato
una cosa del genere. Dopo un primo momento di profonda delusione ed
incredulità, ho pensato bene di continuare con l’ispezione dei polsi
di tutti! Non vi dico quanti ne ho raccolti!
Dopo la lezione i colpevoli si sono avvicinati alla cattedra,
alcuni a chiedere scusa, ma sempre aggiungendo richieste di attenuanti, cioè
dato che avevo sequestrato tutto prima che loro avessero avuto il tempo di
copiare, pretendevano che non tenessi conto del delitto! Solo una di
loro ha capito che, davanti al giudice, omicidio o tentato omicidio, sempre
crimine è.
Ma ciò che mi preoccupa di più sono i bigliettini
che non ho raccolto. Probabilmente vedendomi fare il giro dei polsi,
chi non aveva il foglio attaccato al polso con lo scotch, avrà fatto
in modo di farlo scivolare in alto. Non me lo sono sentita di esplorare
gli avambracci, i gomiti ed i bicipiti! Questi penseranno di essere stati
più in gamba degli altri, più furbi di quelli che si sono fatti
beccare. E gli altri non si vergognano per aver fatto una cosa
sbagliata; dispiace loro solo il fatto di essere stati beccati. Questa
volta è Leopardi che m’insegna: “In tutta l’Europa (massime
in Italia, dove tutti gli assurdi e gli inconvenienti sociali sono maggiori
che altrove) non reca infamia l’essere o essere stato vizioso, né
l’aver commesso delitti … ma bensi l’essere o l’essere stato punito di qualsivoglia
vizio o misfatto.”
Editors interested in subscribing
to this syndicated column may request information by sending an e-mail to:
giogia@giogia.com
Ritornare alla lista