Italian
Perspectives
by Sandra Giovanna
Giacomazzi
L’Opinione delle
Libertà, Edizione 179 del 26-08-2006
Comunismo o democrazia
quale Dio ha fallito?
Riflessioni politiche
di Ruggero Guarini ed
Hermann Hoppe
di Sandra
Giovanna Giacomazzi
Per
Ruggero Guarini il vero scopo del comunismo è
il Giudizio Universale e poiché il comunismo ha realizzato
innumerevoli volte
questo suo scopo, sarebbe l’ora di smettere di chiamarlo “un sogno
impossibile,
un progetto illusorio, una promessa inadempiuta, un’utopia
irrealizzabile -
ossia un dio che sarebbe fallito. Altro che dio fallito. Mai visto,
nella
storia universale, un dio più riuscito di lui.”
Ahimé,
a leggere le parole sacrosante di Guarini
mi è venuto in mente un altro dio che purtroppo potrebbe aver
fallito: la
democrazia, almeno secondo Hans Hermann Hoppe, economista della scuola
austriaca e docente all’Università di Las Vegas, che ha scritto
un libro il cui
titolo dice proprio questo: “Democrazia: il Dio che ha fallito”.
Secondo Hoppe
il grande mito della politica moderna, basato sull’egualitarismo e sul
livellamento
verso il basso, non funziona e non ha mai funzionato. Per lui le
monarchie, per
quanto fossero imperfette, erano modelli migliori.
Anche
Churchill diceva della democrazia che pur
essendo il sistema migliore, era un sistema pessimo, e la verità
delle sue
parole era evidente: ai suoi tempi la democrazia aveva portato al
potere Adolf
Hitler. Hoppe, appunto, vede la democrazia come un anello di una catena
che ha
portato in Europa i due totalitarismi. La storia non si scrive con i
“se”, ma
il susseguirsi di tanti “se” riguardo alla storia dell’inizio
dell’ultimo
secolo offerto da Hoppe è comunque stimolante. Se il Presidente
Wilson non
avesse tradito la sua promessa elettorale fatta agli americani riguardo
al
non-interventismo e quindi se gli americani fossero rimasti fuori dalla
prima
guerra mondiale… Se l’impero asburgico non fosse caduto e quindi se non
fossero
nati gli stati-nazione… Una proiezione di congiuntivi al trapassato che
conclude con l’Europa che non avrebbe subito la nascita di due
totalitarismi.
Non
sappiamo come sarebbe il mondo oggi se
potessimo tornare indietro e applicare tutti i “se” di Hoppe. Sappiamo,
invece,
di qualche esempio di danno devastante compiuto dalla democrazia
applicata.
Sappiamo che in Algeria negli anni novanta le elezioni furono vinte dal
Fis
(Front islamique du salut) che aveva promesso di applicare alla lettera
la
legge della Shariah. E sappiamo della recente vittoria di Hamas nelle
elezioni
palestinesi, con la sua ambizione, pari a quella dei suoi sponsor in
Iran, di
eliminare lo stato di Israele, non solo dalle carte geografiche e dai
libri di
testo, ma dalla faccia della terra.
Ma non
abbiamo bisogno di esempi così estremi per
nutrire qualche dubbio sul dio democratico. Il nuovo governo Prodi
propone una
politica per l’immigrazione che potrebbe, essa, diventare pericolosa
per la
democrazia. Fra ricongiungimenti familiari e facilitazioni e
accelerazioni dei
diritti di cittadinanza, gli italiani rischiano di diventare una
minoranza nel
proprio Paese e di vedere votata una “democrazia” di stampo molto
diverso da
quello dei diritti a cui si sono abituati.
Come
diceva il poeta britannico, John Dryden: “Nor is the peoples judgment
always
true/ The most may err as grossly as the few”. “Nè il
giudizio del popolo è sempre giusto/ I più possono errare
grossolanamente
quanto i meno”.
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