L’Opinione delle
Libertà, Edizione 109 del 20-05-2006
La
più consistente migrazione di massa nella
storia umana si sta averificando in Cina: dalle aree rurali
dell’interno verso
le città lungo la costa orientale, creando ciò che molti
chiamano la seconda
rivoluzione industriale. Con la differenza che la rivoluzione
industriale in
Europa durò circa 150 anni, in Cina si tratta di pochi decenni.
Se nel 1950 la
popolazione urbana rappresentava poco meno del 13% degli abitanti, oggi
ammonta
al 40%, e si prevede che arrivi al 60% per il 2030. Si stima che nei
prossimi
25 anni 345 milioni di persone si trasferiranno verso le città.
Da quando il regime comunista cinese decise di
aprire agli investimenti stranieri nel 1978, la Cina è diventata
una delle
economie con la crescita più accelerata nel mondo e fra le dieci
più grandi.
Negli ultimi anni è diventato il quinto più grande
esportatore di merce dopo
gli Usa, la Germania, il Giappone e la Francia. Tant’è vero che,
con tassi di
crescita intorno al 9%, molti esperti stimano che l’economia cinese si
stia
surriscaldando e temono che, se dovesse mai mancare, il resto del mondo
potrebbe soffrirne molto. Altri vedono gli eccessi odierni come un
rilascio liberatorio
d’energia precedentemente compressa. Sotto il comunismo per 50 anni si
è
prodotto pochissimo, adesso si stanno scatenando. Naturalmente le
grandi
migrazioni portano con sé dei grossi problemi sociali, ma
persino le persone
che ne soffrono di più le conseguenze, lo fanno non con uno
spirito di
sacrificio, ma piuttosto con uno di speranza.
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