L’Opinione delle Libertà, Edizione 266 del 05-12-2007
Gli anni di piombo, le Brigate Rosse e il ricordo del
giornalista torinese
Il Centro
Pannunzio commemora Carlo Casalegno
In
Corso Re
Umberto 54 per deporre una corona d’alloro davanti al palazzo dove 30
anni fa
fu assassinato il vice direttore de “La Stampa”
di Sandra Giovanna Giacomazzi
La settimana
scorsa un gruppo di torinesi sollecitati dal presidente del Centro
Pannunzio,
Pierfranco Quaglieni, si è riunito in Corso Re Umberto 54 a
deporre una corona
d’alloro davanti al palazzo dove 30 anni fa fu assassinato Carlo
Casalegno,
vice direttore de “La Stampa”. Il giornalista torinese fu gravemente
ferito da
quattro colpi di pistola sparati a bruciapelo il 16 novembre 1977 e
morì il 29
dopo 13 giorni di agonia. La sua fu una morte annunciata. Aveva
ricevuto una
serie di minacce e una bomba al giornale e quindi si muoveva sotto
scorta da
alcuni giorni. Fu un mal di denti improvviso a tradirlo obbligandolo a
recarsi
dal dentista senza scorta. Trovò i suoi carnefici nell’androne
di casa al suo
rientro.
Casalegno si
laureò in legge all’università di Torino, e iniziò
la sua vita professionale
come pubblicista e docente al Liceo Palli a Casale Monferato (1942-43).
Partecipò alla lotta partigiana, e, come molti altri
intellettuali torinesi che
avevano studiato al liceo d’Azeglio, militò nel Partito
d’Azione. Collaborò al
giornale clandestino “Italia Libera” prima di entrare nella redazione
de “La
Stampa” nel 1947 dove divenne poi vicedirettore nel 1968. Si dice che
trasparisse il suo spirito “garbatamente polemico” nello scrivere di
argomenti
storici, politici, culturali o di costume.
Il 4 di maggio
1977 scrisse le seguente parole commentando la sospensione del primo
processo
contro le Brigate rosse: “La legge e i principi stessi della convivenza
civile
hanno subito nella giornata di ieri un'altra sconfitta. Si infittiscono
i segni
di sgretolamento dello Stato. A Torino, il maggior processo indetto
finora
contro i brigatisti rossi è finito prima di cominciare: dopo la
fuga in massa
dei giurati, la Corte ha constatato l'impossibilità di
costituire il collegio
giudicante e rinviato il dibattito a nuovo ruolo…Miopi calcoli,
negligenze,
paura danno spazio crescente all'illegalità”. Bastavano
già quelle parole per una
sua condanna. La sua uccisione, come molte altre duranti quegli anni
chiamati
“di piombo”, fu spiegato dalle Brigate rosse, il gruppo terroristico
autore del
delitto, con la seguente motivazione: lo scopo fu di intimidire coloro
che
collaboravano con lo stato italiano. Chi sa cosa avrebbe scritto sullo
stato
della legalità nell’Italia di oggi, della legge sull’indulto,
sullo stato di
degrado delle città invase da un’immigrazione selvaggia, o del
recente colpo
armato in banca commesso proprio da uno dei suoi carnefici, uscito di
prigione
ormai da anni e impiegato come bidello in una scuola elementare.
Quaglieni
ha
ricordato come fossero in molti a vivere col terrore delle minacce di
allora,
uscendo la mattina per svolgere il proprio lavoro e impegno civico non
sapendo
se sarebbero tornati a casa la sera. Il suo gesto è stato
un’idea improvvisata,
nata “dal cuore e dall’indignazione” per il “ricordo minimalista”
offerto alla
memoria del giornalista ucciso dalle Brigate rosse. Ha comunicato ai
presenti
la sua intenzione di fare richiesta al sindaco di Torino di porre una
targa
commemorativa al palazzo dove Casalegno fu ucciso. Speriamo che la sua
richiesta non cada sullo stesso orecchio sordo di un’altra richiesta
simile in
memoria di Oriana Fallaci.
giogia@giogia.com Ritornare alla lista