Cav e Ing, SpA? (Ragion Politica, 5 agosto 2005)
Il matrimonio fra il Cavaliere e l’Ingegnere, come soci in affari per risanare le medie aziende italiane in difficoltà, lascia Paolo Sylos Labini disorientato. E io come lui. L’economista, autore di scritti spietati contro il governo Berlusconi e sostenitore di Liberta e Giustizia (LeG), il think tank promosso da Carlo De Benedetti, credeva, sbagliando, di essersi abituato a non stupirsi più di niente in questo Paese. Quando io smetterò di stupirmi, farò le mie valigie e ritraslocherò oltreoceano, perché vorrà dire che il mio stupore sia stato soppiantato dal cinismo.
Le dichiarazioni di Labini, e di altri esponenti di LeG, sono, come al solito, paradossali. Non capisce come il suo eroe De Benedetti possa allearsi con il demonio Berlusconi, che è “molto peggio di un corrotto: è un corruttore.” E porta niente meno del padre fondatore della scienza economica come suo testimone: “Come già diceva Adam Smith, gli imprenditori che fanno fortuna con l’appoggio politico, con le privative e con i favori non sono veri imprenditori. Non c’è economia senza etica.”
Naturalmente Labini si riferisce ai rapporti stretti fra Berlusconi e Craxi. Però, Labini dimentica che Berlusconi creò il suo impero da niente generando migliaia di posti di lavoro. L’aiuto che pretese dall’amico Craxi fu la possibilità di rompere il monopolio dello Stato e la liberalizzazione dell’informazione televisiva, un tocco solo sano per la società italiana.
Per il suo campione, invece, le circostanze ed i risultati furono ben diversi. De Benedetti ereditò una delle top industrie italiane, l’Olivetti, che riuscì ad affossare proprio grazie ai favori da lui tanto deprecati. Coi contratti garantiti con le banche e con l’amministrazione pubblica, non ebbe difficoltà a piazzare i suoi computer e stampanti datati perché il suo monopolio fu totalizzante. I suoi dinosauri non dovevano competere con l’alta tecnologia galoppante del resto del mondo. Chi pagò caro questi favori? Gli impiegati e piccoli azionisti dell’Olivetti, la città di Ivrea e gli utenti e contribuenti italiani. Per De Benedetti fu la monta sull’inspiegabile piedestallo.
Per non parlare dell’antinomia del Caso Sme. Fu il compagno Prodi, presidente dell’Iri durante le “privatizzazioni” degli anni ottanta, che la voleva “vendere” a De Benedetti ad un prezzo molto amichevole. E fu l’allora primo ministro Craxi a chiedere a suo amico imprenditore, Berlusconi, non a comprare l’azienda, ma ad offrire un prezzo decente. Sappiamo come finirono le cose. La Sme fu comprata da un terzo al prezzo di mercato e Berlusconi fu processato per aver guastato la festa ai Prof/Ing.
L’unica cosa che si può condividere con Labini, oltre al suo stupore, è il suo scetticismo per i presupposti dell’alleanza: che l’offerta di capitali possa essere una soluzione per le medie imprese italiane in difficoltà. I loro problemi non nascono da risorse finanziarie insufficienti, ma da mancanza di capacità di rinnovare e di competere con la concorrenza dei Paesi emergenti. Per adesso il più grande beneficiario dell’accordo è stato proprio De Benedetti: 4 milioni di Euro in un solo giorno.
Editors interested in subscribing to this syndicated column may request information by sending an e-mail to:
giogia@giogia.com Ritornare alla lista