Italian Perspectives                                         
by Sandra Giovanna Giacomazzi 

Non conta chi è al potere, ma i valori che il potere difende. (L’Opinione, 29 aprile 2003)

Ha ragione Daniele Capezzone quando dice che il 25 Aprile il governo ha perso un’occasione ad esserci, anche se, a dire il vero, c’era qualche Club di Forza Italia insieme ai Radicali Italiani nei cimiteri degli stranieri caduti in Italia.  Oramai sta diventando un rito fra i radicali, sventolare la bandiera americana e vistare i cimiteri anglo-americani.  Sono stati gli unici a commemorare l’11 settembre l’autunno scorso.  Il 15 febbraio, mentre le piazze di tutta Italia e mezzo mondo erano stracolmi di “pacifisti” contro questa nuova guerra di liberazione, e mentre molti esponenti della sinistra italiana facevano il filo e la fila per una foto ricordo con Tareq Aziz, i radicali si sono recati al cimitero inglese di Assisi.  E il 25 aprile, una data che i radicali normalmente lasciano perdere, quest’anno hanno scelto di celebrarla, per ricordare che non sono stati solo gli iracheni ad essere liberati dagli anglo-americani.  Più di un Thanksgiving Day, sembra che ogni giorno sia un giorno di ringraziamento per i radicali, per onorare le istituzioni del mio Paese ed i valori della libertà e democrazia che esse ospitano, che sono, per carità, tutte perfezionabili, ma senz’altro il meglio di ciò che il mondo ha da offrire.  E non bisogna scordare che tutto ciò, noi americani abbiamo ereditato dalla grande Gran Bretagna.  Non mi è mai stato così chiaro come in questi ultimi mesi.

Mi ricordo il giorno che è iniziata questa guerra.  Ho visto in diretta sulla CNN la seduta nel Parlamento britannico.  Chi non ha mai visto una seduta del loro parlamento, non sa cosa ha perso.  Io le guardo spesso come una forma di divertimento.  Hanno un modo di rivolgersi la parola con una formalità seicentesco che fa proprio ridere:  “The gentleman” qui.  “The gentlemen” la.  Ma hanno una rudezza altrettanto seicentesca, fatto però con le buone maniere.  Insomma quando sono d’accordo con uno degli interlocutori, gridano un “yeah” gutturale in coro.  E quando invece non sono d’accordo, vociano un “neah” che sembra un ruggito.  Per non parlare della splendida ironia delle loro battute, the English sense of humor, e i tanti giochi di parole per i quali la lingua inglese si presta moltissimo.

Ma questa giornata era ovviamente più solenne del solito.  Se vi ricordate bene, Tony Blair, rischiava di perdere la sua maggioranza quel giorno.  Io ero molto preoccupata, non solo per la simpatia e rispetto che nutro per il primo ministro inglese, ma perché non conoscevo il capo dell’opposizione.  La seduta è durata tantissimo.  Tony Blair ha pronunciato un discorso che andrà negli annali della storia.  I membri del suo partito si sono espressi a favore o contro dando ognuno pacatamente le sue ragioni.  Il leader dei Conservatives, Iain Duncan Smith, ha spiegato perché, pur non condividendo molte cose coi Laburisti, portava con se quasi l’unanimità del suo partito in sostegno dell’impegno intrapreso dal primo ministro.  I due uomini si sono espressi in termini stracolmi dei valori della libertà, della democrazia, e dei diritti, che io conosco dalla nascita, con cui sono cresciuta e che non ho mai dato per scontati perché ci insegnano da bambini a riconoscerne il valore.  Ho capito che se cadeva Blair, non importava niente.  Come anche da noi, non cambia granché essenzialmente se ci siano i Repubblicani o i Democratici al potere.  I discorsi di Blair e Duncan Smith mi hanno fatto venire la pelle d’oca e le lacrime agli occhi.  Ho capito che il mio vero DNA non è quello tutto italiano che mi scorre nelle vene, ma è quello che ho eredito dalla cultura civica britannica.

Ho anche visto quello stesso pomeriggio la seduta nel parlamento italiano, in cui l’opposizione non ha neanche permesso al presidente del consiglio di prendere la parola.  Più o meno era una scena come quella del povero Savino Pezzotta in piazza a Milano l’altro giorno.  E quindi, bisognerebbe chiedersi: c’è da meravigliarsi che Berlusconi abbia preferito curarsi la mano piuttosto che affrontare scene come quelle che abbiamo visto venerdì scorso?

È vero quello che dice Marco Taradesh, che il Premier “ha perso l’occasione di strappare la celebrazione del 25 aprile alla faziosità della sinistra.”  Però chi gli garantiva di non finire come Pezzotta, o come Veltroni, che ha voluto ricordare la partecipazione degli ebrei alla liberazione dell’Italia e a cui invece è toccato sentire sul suo Campidoglio le vergognose e raccapriccianti parole, “Israele, sei il primo della lista.”  Chi gli assicurava di non vedere le bandiere americane e israeliane bruciare nelle piazze come si è visto a Roma e a Milano.  E temo che lo stare al fianco del Presidente della Repubblica e sentirlo lodare una costituzione che sarebbe tutta da cambiare, come gli italiani stessi avevano espresso il desiderio di fare con un referendum di ben 10 anni fa, avrebbe ugualmente fatto traboccare la sua pazienza.

Ciampi dice anche che non si può dimenticare la resistenza.  Anche volendo, come si fa a dimenticare gli usurpatori della liberazione di tutta l’Italia e dell’intera festa nazionale?  Sono loro che hanno dimenticato, o meglio, che non hanno mai riconosciuto il peso decisivo del contributo esterno.  I partigiani potevano resistere, resistere, resistere, ma senza l’aiuto degli anglo-americani, sarebbero ancora lì a resistere, nascosti nelle montagne.  E il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia Romagna, e le altre province d’Italia sarebbero oggi dei Länder della Germania.  Sono loro i veri liberati, che dovrebbero essere grati più di tutti.  Invece a fare del 25 Aprile un giorno di gratitudine, sono stati i Radicali.  E per questo, sono io che ringrazio loro.



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